44 articoli nella categoria Enogastronomia

Annamaria Parlato 24/01/2025 0

La verza tardiva di Sarno è un tesoro d'inverno, unisce storia e salute

La verza tardiva di Sarno (Brassica oleracea var. sabauda), appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, si distingue per le sue caratteristiche uniche. Questo cavolo dal sapore intenso rappresenta una tradizione agricola che si intreccia con la storia della Valle del Sarno, un territorio noto per la sua fertilità e il legame profondo con la terra. Si presenta con una testa compatta e foglie sovrapposte di un verde intenso all'esterno, che sfuma verso un verde più chiaro o giallastro al centro. Le foglie sono increspate e spesse, con una consistenza croccante che le rende ideali per diverse preparazioni culinarie. Il sapore è ricco e leggermente dolce, con una nota terrosa che esprime tutta la genuinità di questo ortaggio. La capacità della verza di adattarsi alle basse temperature la rende particolarmente indicata per i climi invernali, periodo in cui raggiunge la sua piena maturazione. La coltivazione della verza tardiva di Sarno segue un ciclo preciso, che sfrutta al meglio le caratteristiche del clima locale. La semina avviene in autunno, generalmente tra settembre e ottobre. In questa fase, i semi vengono piantati in terreni fertili e ben drenati, preparati con tecniche tradizionali che rispettano l'ambiente. I semi vanno coperti con uno strato di terra e mantenuti umidi durante il periodo di germinazione. Dopo alcune settimane dalla semina, le piantine vengono trasferite in campo aperto, dove continueranno il loro sviluppo fino alla maturazione. La raccolta avviene nei mesi invernali, tra dicembre e febbraio, quando la verza raggiunge la piena maturazione. Questo periodo è cruciale per ottenere un prodotto di qualità, poiché le basse temperature contribuiscono a esaltare il sapore e la croccantezza delle foglie. La storia della verza ha origini antichissime, risalenti alle civiltà mediterranee. Forse ebbe origine nell'antico Medio Oriente, diffondendosi successivamente in Europa e in altre parti del mondo attraverso le rotte commerciali e le migrazioni. I Greci e i Romani adottarono la verza nella loro dieta, utilizzandola sia come alimento sia come rimedio naturale. In particolare, i Romani consideravano il cavolo un simbolo di forza e salute, utilizzandolo per curare ferite e disturbi gastrointestinali. Con il passare dei secoli, la coltivazione della verza si è diffusa in tutta Europa, diventando un alimento essenziale durante i mesi invernali per le sue proprietà di lunga conservazione. Nel sarnese, già in epoca borbonica, la verza tardiva era nota per la sua capacità di resistere alle gelate invernali e veniva apprezzata come ingrediente essenziale nella cucina povera, quando la conservazione dei cibi era una sfida quotidiana. La verza, con il suo ciclo di crescita tardivo e il bisogno di terreni ricchi d'acqua, ha trovato in questa zona un habitat ideale, grazie all'abbondanza delle sorgenti naturali e al microclima unico. È un alimento estremamente ricco di nutrienti e povero di calorie, il che lo rende ideale per una dieta equilibrata. Spiccano la vitamina C, fondamentale per il sistema immunitario, e la vitamina K, importante per la salute delle ossa e la coagulazione del sangue; contiene composti come i polifenoli e il sulforafano, che aiutano a combattere lo stress ossidativo, promuove attraverso le fibre la salute intestinale e contribuisce a mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo. È ricca di potassio, ferro e calcio, essenziali per il funzionamento del sistema muscolare e nervoso. Un piatto semplice e genuino che valorizza al meglio il sapore intenso della verza è la zuppa di riso, patate e verza. Ingredienti: 1 verza tardiva di Sarno (circa 600 g), 2 patate medie, 200 g di riso Arborio o Carnaroli, 1 cipolla, 2 spicchi d'aglio, Olio extravergine d'oliva q.b., Sale e pepe q.b., Brodo vegetale (circa 1 litro), Peperoncino (facoltativo). Preparazione: 1. Lavate accuratamente la verza, rimuovendo le foglie più esterne e tagliandola a striscioline sottili. 2. Pelate le patate e tagliatele a dadini. 3. In una pentola capiente, soffriggete la cipolla tritata e l'aglio schiacciato con un filo d'olio extravergine. 4. Aggiungete le patate e la verza, mescolando per insaporire il tutto. 5. Versate il brodo vegetale caldo e lasciate cuocere a fuoco medio per circa 20 minuti. 6. Unite il riso e continuate la cottura, mescolando di tanto in tanto, fino a quando il riso sarà al dente. 7. Regolate di sale e pepe, aggiungendo un pizzico di peperoncino, se gradito. 8. Servite caldo, con un filo di olio a crudo, per esaltare i sapori, e formaggio grattugiato a piacere. In un'epoca in cui i prodotti industriali dominano i mercati, sostenere questa eccellenza agricola significa non solo preservare l’autenticità di un territorio, ma anche valorizzare una cultura che guarda al futuro con le radici ben salde nel passato.
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Annamaria Parlato 17/01/2025 0

Storia e cultura nel soffritto di Sant'Antuono, tipico dell'Agro Nocerino

Il soffritto, piatto partenopeo, mantiene una forte presenza culturale anche nell’Agro nocerino-sarnese, dove è particolarmente consumato durante la festa di Sant’Antuono, il 17 gennaio. Questa celebrazione, dedicata al santo protettore degli animali, è caratterizzata da tradizioni culinarie che includono piatti a base di maiale, tra cui il soffritto. La preparazione di questa pietanza, in occasione della festa, diventa un momento di condivisione comunitaria, rafforzando il legame tra cibo e tipicità. Nonostante le sue umili origini, il soffritto è oggi considerato patrimonio gastronomico regionale. Piatti come la pasta con il soffritto, le bruschette, la pizza fritta o persino il “cuzzetiello” al soffritto ne testimoniano la versatilità. Il suo sapore intenso e unico continua a raccontare la storia di un popolo capace di trasformare ingredienti semplici in capolavori culinari. Con il suo sapore deciso e piccante, dato dall'abbondante utilizzo di peperoncino e concentrato di pomodoro, la “zuppa forte” racchiude secoli di storia e cultura gastronomica. Questo piatto, che utilizza frattaglie di maiale come cuore, polmone, fegato, trachea, diaframma, reni e milza, nacque dalla necessità di sfruttare ogni parte dell'animale, un principio fondamentale della cucina popolare partenopea. Un ruolo fondamentale nella diffusione del soffritto fu svolto dalle "zendraglie", le venditrici ambulanti di frattaglie e interiora animali. Queste donne, figure iconiche della Napoli settecentesca, popolavano i mercati rionali e i vicoli della città, trasformando la vendita in una performance pubblica con grida e canti. Il termine "zendraglia" deriva probabilmente dal dialetto e richiama materiali di scarto, in linea con la merce venduta: parti meno pregiate degli animali, rese accessibili alle classi popolari; contribuirono a radicare nella cultura culinaria napoletana il principio del non spreco e l'importanza di valorizzare ogni risorsa disponibile. Il piatto ha in ogni caso origini antiche e il suo primo riferimento scritto si trova in "La Cucina Teorico-Pratica" (1837) di Ippolito Cavalcanti. Questo nobile appassionato di cucina non solo codificò ricette aristocratiche, ma raccolse anche piatti popolari, descrivendoli in dialetto napoletano. La ricetta del soffritto, con le sue interiora di maiale insaporite da spezie e pomodoro, riflette la tradizione popolare di valorizzare ogni risorsa disponibile. Ulisse Prota Giurleo, noto studioso delle tradizioni napoletane, ha riportato una ricetta manoscritta del soffritto datata 1743, rinvenuta sul retro di un documento notarile. Attribuita ad Annarella, proprietaria di una taverna a Porta Capuana, questo documento descrive l’uso di frattaglie cotte nello strutto con aglio e alloro. Prota Giurleo ha anche documentato i garzoni delle taverne che invitavano i passanti a gustare il soffritto, testimoniando l’importanza di questo piatto nella cultura popolare. Salvatore Di Giacomo ha celebrato la cucina napoletana nelle sue opere, descrivendo l’amore del popolo per piatti semplici e saporiti, contribuendo a preservare l’identità culinaria partenopea. Anche Matilde Serao, nel suo celebre "Il ventre di Napoli" (1884), menziona il soffritto, definendolo dinamite e descrive il cibo come specchio delle condizioni sociali. Nel capitolo "Quello che mangiano", Serao racconta la creatività dei napoletani nel trasformare ingredienti poveri in piatti saporiti. Il soffritto si inserisce perfettamente in questo contesto culturale, rappresentando l'ingegno e la resilienza del popolo partenopeo. Per realizzarlo vi sono diversi passaggi da seguire. Bisogna innanzitutto lavare accuratamente le frattaglie sotto acqua corrente fredda per eliminare eventuali impurità e poi si tagliano a piccoli pezzi. In una casseruola capiente, si scalda l’olio (o lo strutto) e si soffrigge la cipolla tritata finemente insieme agli spicchi d’aglio interi, che possono essere rimossi successivamente. Dopodichè si aggiungono le foglie di alloro e il peperoncino, lasciando insaporire per qualche minuto. Unire poi le frattaglie e farle rosolare a fuoco vivace, mescolando frequentemente. Sfumare con un bicchiere di vino rosso e lasciare evaporare l’alcol. Incorporare il concentrato di pomodoro e, a piacere, anche l'estratto di peperoni per donare più colore e sapore, mescolare bene e cuocere a fuoco lento per 2 ore circa. Aggiustare di sale a fine della cottura. Infine servire il soffritto caldo, accompagnandolo con pane casereccio tostato o utilizzandolo come condimento per la pasta.
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Redazione Sarno 24 09/01/2025 0

Iniziato "l'anno del km zero", a Castellammare il calendario Foodyear 25

L’origine dell’espressione “chilometro zero”, l’importanza di acquistare prodotti locali, il rispetto della stagionalità degli ingredienti, lo sguardo all’ambiente: sono alcuni dei temi emersi dagli interventi della presentazione di Foodyear 2025, sabato 4 gennaio nella sala eventi dello Yacht Club Marina di Stabia, a Castellammare. Da un’idea del fotoreporter Gianni Cesariello, il prodotto editoriale è nato anche grazie alla collaborazione della giornalista Ilaria Cotarella e di Marco Pirollo, giornalista e direttore di Madeinpompei.it. L’incontro si è aperto con i saluti di Marco Dimiccoli, direttore dello Yacht Club di Marina di Stabia, che si è dichiarato entusiasta del progetto. "La seconda edizione di questo calendario - afferma Cesariello - è dedicata alla sostenibilità. In alcune foto gli chef espongono prodotti a chilometro zero, così come molte delle aziende sponsor lavorano a chilometro zero". Tra gli interventi, quello di Rosario Lopa, portavoce della Consulta Nazionale per l’Agricoltura: "Questo calendario ha fatto una scelta tematica adeguata, promuovere la sostenibilità. Si fa riferimento alle realtà del territorio che producono e trasformano, mettendo i consumatori finali nelle condizioni di assaggiare, gustare e sentire i profumi dei prodotti a chilometro zero. Dal produttore al consumatore attraverso un calendario che promuove l’enogastronomia del territorio".
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Redazione Sarno 24 07/01/2025 0

Castellammare, festa dei cuochi e dei pizzaioli dell'Alleanza Slow Food

Giovedì 9 gennaio, nella splendida cornice dell’Hotel dei Congressi, a Castellammare di Stabia, si terrà la terza Festa dei Cuochi e Pizzaioli del Progetto dell’Alleanza Slow Food della Campania, dedicata alla memoria di Rita Abagnale. L’evento è organizzato da Slow Food Campania, sotto l’egida di Slow Food Italia, e con la collaborazione delle Condotte "Costiera Sorrentina e Capri", "Monti Lattari e Costa d’Amalfi" e dell’intera famiglia Abagnale. La serata avrà inizio alle ore 18:00, con la presentazione regionale delle guide di Slow Food Osterie d’Italia e Slow Wine, per proseguire con un ricordo di Rita Abagnale e l’attribuzione, da parte di Giuseppe Di Martino, del premio a lei intitolato, giunto alla quarta edizione: successivamente, spazio alla creatività di una trentina tra Cuochi e Pizzaioli dell’Alleanza e Cuochi Chiocciolati delle Osterie campane, insieme ai Vignaioli premiati da Slow Wine ed ai Produttori delle eccellenze alimentari dei Presìdi Slow Food.
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Annamaria Parlato 26/12/2024 0

La minestra maritata dell'Agro nocerino è un "cult" di Santo Stefano

La minestra maritata, o “pignato grasso”, è uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica campana e in particolare dell’Agro nocerino-sarnese, un autentico tesoro culinario che racchiude storia, cultura e sapori unici. Questo piatto, il cui nome letteralmente significa “minestra sposata”, prende il nome dall’armoniosa combinazione di carne e verdure, un connubio che si rifà all’antica arte della cucina contadina. La storia è lunga e affascinante, con radici che risalgono all’epoca romana. La ricetta originale deriverebbe da un piatto noto come “minutal”, una preparazione a base di carne e verdure diffusa nell’antica Roma. Durante il periodo aragonese a Napoli, il piatto subì l’influenza dell’olla podrida spagnola, un ricco stufato di carne e legumi che condivideva la filosofia di combinare ingredienti diversi per creare un piatto unico e sostanzioso. Arricchitasi di profumi e tecniche culinarie importate dagli spagnoli, la minestra maritata divenne più raffinata e si consolidò come elemento distintivo della cucina campana. Questo pasto unico era originariamente preparato per le occasioni speciali, in particolare per Natale e Pasqua, quando le famiglie si riunivano per celebrare le festività. La sua complessità e ricchezza di ingredienti riflettevano l’abbondanza e il calore delle tradizioni familiari. La minestra maritata ha trovato spazio persino nella letteratura tra i secoli XIII e XVIII (Pulci, Cervantes, Latini, Casanova), contribuendo a raccontare la cultura e le tradizioni campane. Anche in testi meno noti è stata citata come esempio di come il cibo possa riflettere il legame profondo tra terra, tradizioni e memoria collettiva. Il cuore della ricetta risiede nella perfetta unione tra carne e verdure, che prevede una selezione di tagli specifici (maiale e parti grasse, manzo, pollo o gallina) e un assortimento di ortaggi a foglia, ognuno dei quali contribuisce a creare un’esplosione di sapori. Ogni tipo di carne viene cotto lentamente per ottenere un brodo ricco e saporito, che diventa la base del piatto. Le verdure variano a seconda della stagione e della disponibilità, ma la tradizione dell’Agro privilegia: scarola, bietola, cicoria, catalogna, broccoletti, verza, torzella (una varietà antica di cavolo tipica della Campania, dal sapore intenso e leggermente amarognolo). Queste verdure, accuratamente lavate e lessate, vengono unite alla carne per completare la minestra. Le carni si cuociono in abbondante acqua con cipolla, sedano e carota, un po' di lardo, formando un brodo ricco e profumato. Le verdure sono aggiunte al liquido di cottura delle carne per preservare i loro sapori distinti. Il tutto viene fatto sobbollire, per consentire ai sapori di amalgamarsi assieme a qualche scorza di parmigiano. Un filo d’olio extravergine d’oliva e una spolverata di formaggio e pepe a completano il piatto. La minestra è spesso accompagnata da pane raffermo tostato o dai tipici scagliuozzi di polenta fritta. Oggi, è ancora un piatto molto amato, soprattutto nelle famiglie che custodiscono gelosamente le antiche ricette tramandate di generazione in generazione. Molti ristoranti e trattorie dell’Agro propongono questa pietanza nei loro menù, permettendo anche ai turisti di scoprire un autentico sapore della tradizione. Pur essendo profondamente legata al territorio campano, la minestra maritata ha conquistato il palato di molti oltre i confini regionali. Alcune varianti moderne includono ingredienti innovativi o semplificano la ricetta per adattarsi ai ritmi della vita contemporanea, ma il cuore del piatto rimane invariato: l’equilibrio perfetto tra carne e verdure. Per accompagnare la minestra, è consigliabile scegliere un vino campano che ne esalti i sapori intensi senza sovrastarli. Tra le opzioni migliori: Aglianico del Taburno, un rosso strutturato e ricco di tannini che si sposa perfettamente con la complessità del piatto, bilanciando la grassezza della carne e la mineralità delle verdure; Piedirosso, meno tannico dell’Aglianico, ma con una buona acidità e note fruttate che si combinano bene con il sapore rustico e leggermente amarognolo delle verdure; Greco di Tufo per chi preferisce un vino bianco, che con la sua freschezza e le sue note minerali può offrire un interessante contrasto ai sapori ricchi della minestra maritata.
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Annamaria Parlato 14/12/2024 0

Angri, la ricetta della "scarola capillina" imbottita di Zia Nennella

La scarola (nome scientifico Cichorium endivia, varietà latifolium) ha una storia che affonda le sue radici nell'antichità ed è legata alla famiglia delle cicorie. È una pianta erbacea originaria del bacino del Mediterraneo, coltivata e apprezzata per il suo gusto delicatamente amarognolo e per le sue proprietà salutari. Era conosciuta già dagli Egizi e dai Greci, che ne apprezzavano il valore medicinale e alimentare, infatti la usavano sia cruda che cotta, come ingrediente per insalate e decotti. I Romani svilupparono tecniche di coltivazione per migliorarne il gusto, rendendola meno amara rispetto alle piante selvatiche. Scrittori come Plinio il Vecchio la menzionano come alimento comune e salutare, lodandone le virtù digestive. Durante il Medioevo, la scarola fu coltivata nei monasteri come pianta medicinale e alimentare. La sua capacità di crescere anche nei climi più freddi ne favorì la diffusione in tutta Europa. Veniva utilizzata soprattutto per bilanciare i pasti a base di carne, considerati "pesanti". Nel Rinascimento, con lo sviluppo dell’agricoltura, la scarola iniziò a essere selezionata per ottenere varietà più tenere e meno amare. Fu in questo periodo che divenne un ingrediente popolare nelle cucine nobili, oltre che in quelle popolari. Oggi è una delle verdure simbolo della cucina mediterranea, soprattutto nel Meridione, dove ha trovato il suo massimo utilizzo in piatti tipici come la pizza di scarola e la scarola imbottita. Questa verdura è strettamente legata alla tradizione contadina, che ne apprezzava la capacità di resistere al freddo, rendendola un ortaggio invernale perfetto. Nelle regioni italiane del Sud, come Campania e Puglia, è diventata un ingrediente irrinunciabile durante le festività natalizie. La scarola ha quindi attraversato i secoli, evolvendo da pianta selvatica a coltivazione raffinata, diventando simbolo di una cucina semplice ma ricca di sapori. Ha molteplici proprietà benefiche per la salute, grazie alla sua ricchezza di nutrienti e composti bioattivi. È un alimento leggero, disintossicante e versatile, ideale per mantenere il benessere dell'organismo. In natura esistono due generi, liscia e riccia, che vengono utilizzati per diverse preparazioni in cucina. Ad Angri, nel salernitano, è nota la "scarola capillina", una varietà di indivia riccia a ciclo invernale. Forma un cespo compatto e grande, con foglie finemente laciniate di colore verde chiaro, quasi "filiformi", da cui deriva il nome, e un cuore bianco se legato o coperto prima del consumo. Può raggiungere i 45 cm di diametro e un peso consistente. È resistente alla salita a seme e ha un sapore delicato, leggermente amarognolo. È perfetta per ricette come insalate crude, zuppe leggere, o in preparazioni tradizionali stufate o imbottite, dove il suo gusto si esalta. Questa varietà è meno robusta rispetto alle scarole più comuni, quindi richiede una maggiore attenzione nella pulizia e nella cottura per preservarne la consistenza. Ottima in brodo con le polpettine, come ripieno della pizza rustica, con i fagioli, all’insalata o con il baccalà, magnifica ripiena e stufata, diventa un secondo gustoso da proporre nelle festività natalizie. Questa è la ricetta della signora Immacolata Parlato, confidenzialmente zia Nennella, che aggiunge un tocco personale e ricco alla preparazione, che in origine nasce con meno ingredienti. Per raggiungere una cottura perfetta si consigia di utilizzare un tegame dai bordi alti, possibilmente di rame, poiché le scarole vengono adagiate una accanto all’altra e all’impiedi, legate con un filo di spago da cucina. Ingredienti per 4 persone: 4 cespi di scarola capillina, 200 g di salsiccia fresca, 8-10 pomodorini spunzilli o ciliegini, tagliati a metà, 4 filetti di acciuga sott'olio, 2 cucchiai di capperi dissalati, 50 g di olive nere denocciolate (tipo Gaeta), 40 g di parmigiano grattugiato, 2 spicchi d'aglio, olio extravergine d'oliva, sale e pepe q.b., spago da cucina. Preparazione della scarola: pulite i cespi di scarola, eliminando eventuali foglie rovinate; lavate accuratamente sotto acqua corrente per eliminare eventuali residui di terra; sbollentate i cespi per 3-4 minuti in acqua salata, quindi scolateli e lasciateli intiepidire su un canovaccio. Preparazione del ripieno: in una padella, scaldate un filo d'olio con uno spicchio d'aglio; aggiungete i filetti di acciuga e fateli sciogliere delicatamente; unite la salsiccia sgranata, i pomodorini, i capperi e le olive; cuocete il tutto per circa 8-10 minuti, regolando di sale e pepe; spegnete il fuoco e aggiungete il parmigiano grattugiato, mescolando bene. Farcitura e legatura: allargate delicatamente ogni cespo di scarola su una superficie piana; farcite il centro con una generosa quantità di ripieno, richiudete le foglie su se stesse e legate ogni cespo con lo spago da cucina, formando un pacchetto compatto. Cottura finale e servizio: in una casseruola capiente, scaldate un filo d'olio e l'altro spicchio d'aglio; sistemate i cespi di scarola legati nella casseruola e fateli rosolare su entrambi i lati; aggiungete un mestolo d'acqua o brodo vegetale, coprite con un coperchio e lasciate stufare a fuoco lento per circa 15-20 minuti, girando a metà cottura; rimuovete lo spago e servite i cespi di scarola imbottiti caldi o tiepidi, accompagnati da un buon pane casereccio.
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Redazione Sarno 24 03/12/2024 0

San Valentino Torio, terzo posto di Fiorenzo Ascolese a "Re Panettone"

Un altro successo per la pasticceria Ascolese di San Valentino Torio. Fiorenzo Ascolese, giovane talento della lievitazione, si è aggiudicato il terzo posto nella categoria Panettone Classico a "Re Panettone 2024", la più importante competizione dedicata al dolce natalizio italiano. L'evento, svoltosi a Milano il 30 novembre e il 1° dicembre, presso il Parco Esposizioni Novegro di Segrate, ha visto sfidarsi i migliori pasticceri italiani in una competizione che premia l'artigianalità e la qualità degli ingredienti. Fiorenzo, già vincitore nelle edizioni 2017 e 2022, e al 3° posto nel 2023 nella categoria Miglior “Dolce Lievitato Innovativo”, conferma la sua maestria nella creazione di un panettone classico, morbido e saporito. Un risultato che inorgoglisce l'intera comunità di San Valentino Torio e che proietta la pasticceria campana ai vertici della scena nazionale. Il panettone di Ascolese, realizzato con lievito madre e ingredienti naturali, ha conquistato sia la giuria tecnica che quella popolare con la sua sofficità, il profumo intenso e il gusto autentico. Un podio che premia anni di passione e dedizione, alla ricerca della perfezione e della qualità.
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Annamaria Parlato 20/11/2024 0

Il segreto è negli "Impasti", nel laboratorio creativo di Angri la pizza "vive"

Siamo in pieno centro ad Angri, a pochi passi dal Castello Doria e dalle maggiori attrazioni cittadine sorge "Impasti". Il locale non è solo una pizzeria, ma un vero laboratorio di creatività culinaria. È qui che ogni elemento prende forma, in un perfetto equilibrio tra sapori e consistenze. Un anno fa, Antonio Cuciniello e Gianpiero D’Ambrosio hanno inaugurato la pizzeria, che immediatamente ha saputo rispondere, con una perspicace offerta, alla forte domanda che si è subito presentata a poche settimane dall’apertura. Gianpiero, essendo già ristoratore (gestisce anche un locale di cucina giapponese), ha saputo affrontare con esperienza e oculatezza le sfide del mercato, travolgendo Antonio con il suo entusiasmo e incitandolo a non scoraggiarsi di fronte alle prime difficoltà, perseguendo l’obiettivo principale: aprire la prima pizzeria in società. I due sono partiti come un treno ad alta velocità e non si sono più fermati, anzi in questo viaggio nel “gusto morbido” hanno incontrato il maestro pizzaiolo Antonio Mosca, originario di Barra, che vanta ben 25 anni di esperienza nell’arte bianca. Entrando da "Impasti", si viene accolti da un’atmosfera calda e conviviale; il forno a legna, cuore pulsante della pizzeria, domina la scena, permettendo ai clienti di assistere alla magìa della cottura. Il servizio è attento e cordiale, guidato da uno staff giovane. La peculiarità di "Impasti" risiede nella lavorazione - appunto - del suo impasto, che si distingue per l’utilizzo della tecnica indiretta. Questo metodo prevede una doppia fase di fermentazione: si inizia con un pre-impasto, una biga, che viene lasciato maturare a lungo, circa 48 ore, favorendo lo sviluppo di aromi complessi e una leggerezza unica. Solo successivamente viene lavorato con gli altri ingredienti per creare l’impasto finale. Il risultato è una base incredibilmente soffice, ariosa e digeribile, capace di esaltare ogni condimento senza appesantire il palato. Questo processo garantisce che l’impasto raggiunga la perfetta maturazione, evitando sovraccarichi di glutine e zuccheri che potrebbero rallentare la digestione. Ogni morso è un viaggio che combina tecnica moderna e rispetto per i tempi naturali. Le farine, selezionate con cura, si combinano in blend unici e sorprendenti. Qui si prediligono Varvello e Vigevano a filiera corta e controllata: i grani utilizzati sono selezionati per provenienza e qualità, garantendo tracciabilità e sicurezza alimentare. Arricchite di fibre e germe di grano attivo, sono adatte per lunghe lievitazioni: sono pensate per lavorazioni che richiedono tempo e pazienza, rendendole perfette per pizze con alta idratazione e alveolature importanti. Una grande attenzione è stata dedicata agli impasti senza glutine, con spazi e forni dedicati. Le materie prime, scelte tra le eccellenze del territorio, si incontrano in accostamenti originali su questi impasti leggerissimi, trasformando ogni pizza in un’esperienza nuova e stimolante. "Impasti" fa della valorizzazione del territorio un punto fermo. Ogni ingrediente utilizzato è selezionato con cura, privilegiando produttori locali. Tra gli esempi più rappresentativi troviamo il fiordilatte campano, con la sua freschezza e cremosità; i pomodori San Marzano DOP, maturati al sole della piana dell'Agro nocerino; l’olio extravergine d’oliva delle Colline Salernitane IGP, che aggiunge una nota profumata e avvolgente; le verdure di stagione provenienti dai mercati contadini della zona, sempre protagoniste di accostamenti creativi. Anche l’arte del fritto si esprime al massimo livello. I fritti qui non sono semplici antipasti, ma vere e proprie delizie culinarie, in cui ogni dettaglio è curato per offrire un’esperienza indimenticabile. Dall’arancino classico al crocchè di patate di Avezzano, fino alle frittatine di pasta rivisitate, ogni boccone racconta la passione per la qualità e la creatività. E allora si consiglia di assaggiare la Margherita per iniziare la degustazione con la pizza tradizionale per eccellenza, proseguendo con quelle più contemporanee come una deliziosa Scarpariello con pomodoro del Piennolo rosso, fiordilatte, olio EVO, salsiccia a punta di coltello, provolone del monaco DOP all’uscita, basilico, pepe di Sichuan. Ogni pizza è pensata per esaltare le caratteristiche uniche dell’impasto, mai sovrastandolo, in perfetta armonia con la sua leggerezza. Ottimo dessert le nuvolette soffiate al pistacchio, non mancano vini rossi e rosati, bollicine, birre artigianali e amari. In fondo, il segreto di "Impasti" è tutto racchiuso nel suo nome: un’arte che parte dalla farina e si sublima nei dettagli.
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Redazione Sarno 24 20/11/2024 0

Sabato 7 dicembre la seconda edizione di "Paganettone"

Avrà un inizio dolce il Natale a Pagani. Sabato 7 dicembre, in villa comunale, si terrà la seconda edizione di "Paganettone", l'evento che vede insieme il Forum dei Giovani e l'Amministrazione Comunale. Il ricco calendario di iniziative natalizie si apre quindi con la fiera dedicata alla degustazione dei panettoni di maestri dolciari delle pasticcerie del territorio. Un’occasione per far conoscere e assaggiare tutte le prelibatezze natalizie delle pasticcerie aderenti all'iniziativa. Per questa seconda edizione l'evento si arricchirà di una sorpresa grazie ad uno speciale spettacolo di artisti.
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Redazione Sarno 24 19/11/2024 0

A Pompei le tipicità campane incontrano i vini del Piemonte

Giovedì 12 dicembre, dalle ore 20:00, il ristorante Pompeo Magno (via S. Abbondio 155, Pompei) propone una serata/incontro con Domenico Tappero Merlo, proprietario dell'azienda Tappero Merlo Wines & Hospitality, nonchè professore del modulo di Gusto e Sostenibilità al Master in Comunicazione per le industrie creative all’Università Cattolica di Milano. Da sommelier e vignaiolo innamorato della sua terra, il Canavese, Tappero Merlo condurrà alla scoperta dell’Erbaluce di Caluso, celebrato come vitigno dell’anno 2023 del Piemonte, e delle grandi potenzialità per la valorizzazione culturale e lo sviluppo sostenibile delle realtà rurali italiane. Un menù ricco, pensato per suggellare in un ideale matrimonio i prodotti campani e i vini del nord. Info e prenotazioni: 0818598050 - info@pompeomagno.it
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