Da Sant'Egidio a Minori, Italo D'Apuzzo e la sua storia da ristoratore

Alla Locanda del Pescatore tanto impegno e passione per conquistare la clientela internazionale

Annamaria Parlato 19/05/2024 0

Il lavoro del ristoratore è spesso descritto come uno dei più impegnativi nel settore dei servizi. Esso richiede una combinazione unica di abilità culinarie, gestione aziendale, servizio al cliente e, spesso, resistenza fisica e mentale. Creare un menù che sia attraente per i clienti, economico da produrre e in grado di generare profitto è una delle sfide principali. Questo include anche la gestione delle scorte di ingredienti, che devono essere freschi e disponibili.

Il ristoratore deve assumere, formare e mantenere un team di cuochi, camerieri, baristi e altro personale. Ciò richiede abilità di leadership e gestione delle risorse umane, oltre a dover spesso affrontare problemi di turnazione e sostituzioni all'ultimo minuto. La preparazione dei pasti impone non solo abilità culinarie, ma anche una gestione efficiente del tempo e della cucina. I ristoratori spesso lavorano ore lunghe e irregolari per garantire che tutto sia perfetto. Assicurarsi che i clienti siano soddisfatti è essenziale: questo include la gestione delle lamentele, la creazione di un'atmosfera piacevole e la costruzione di relazioni con i clienti abituali. Un ristorante deve essere sempre pulito e ben mantenuto. Tutto questo richiede uno sforzo costante per garantire che tutte le aree, dalla cucina alla sala, siano in condizioni ottimali.

La pressione di mantenere standard elevati, la gestione di un team e la necessità di soddisfare i clienti possono essere fonte di stress significativo. Il lavoro in un ristorante può interferire con la vita personale, dato che spesso richiede orari serali, festivi e fine settimana. Nonostante tutte queste sfide, molti ristoratori trovano grande soddisfazione nel vedere i loro clienti godere del cibo e dell'atmosfera che hanno creato. La passione per la cucina e l'ospitalità è spesso ciò che li spinge a superare le difficoltà quotidiane.

Il ristoratore di oggi deve essere un abile manager, un innovatore, un leader ispirato, capace di navigare in un ambiente in continua evoluzione e di rispondere prontamente alle nuove sfide e opportunità. La capacità di adattarsi e innovare è fondamentale per il successo nel settore della ristorazione contemporanea.

Italo D’Apuzzo, originario di Sant’Egidio del Monte Albino, da circa dieci anni svolge questo ruolo, assieme a Gerardo Dipino, presso la Locanda del Pescatore di Minori. Non è stato semplice lasciare l’Agro, ma la passione e l’amore per l’ospitalità lo hanno invogliato a cambiare territorio per iniziare una nuova avventura nella Divina Costa. D’Apuzzo ha risposto alle nostre domande con molto entusiasmo, svelando cosa c’è dietro a questa professione.

1) Da Sant'Egidio a Minori per la gestione del suo ristorante, ha nostalgia del suo paese natìo?

Andare via da Sant’Egidio del Monte Albino per gestire il ristorante a Minori non è stato facile, perché sono molto legato alla mia terra, alla mia famiglia e ai miei amici.

2) Quando e come è iniziata la sua avventura di ristoratore?

La mia avventura, che poi è anche la mia più grande passione, è iniziata molto presto; da adolescente ho frequentato l’Istituto Alberghiero di Nocera Inferiore, diplomandomi con il massimo dei voti. Ho seguito poi una serie di corsi, soprattutto ho lavorato come responsabile di sala e come direttore in molti ristoranti e in diverse località. Nel 2014 ho deciso di gestire la Locanda del Pescatore, dopo aver effettuato un’attenta valutazione anche legata al fatto della mia esperienza in questo settore, credendo in me e realizzando finalmente il mio più grande sogno: quello di gestire un ristorante in Costiera Amalfitana tutto mio!

3) Ha portato un po' del suo territorio in Costiera?

In primo luogo ho cercato di far crescere l’immagine del ristorante, utilizzando sempre prodotti di prima qualità, non cadendo nell’errore di pensare che, solo per il fatto di essere in Costiera, la scelta dei prodotti sarebbe dovuta essere una cosa secondaria! Sempre e solo il meglio per i miei ospiti!

4) Ha trovato la giusta accoglienza in Costiera?

Inizialmente non è stato facile, ero pur sempre di un altro paese, anche se non parliamo di un’enorme distanza. Le persone dapprima mi hanno studiato, ma poi, capendo la mia natura solare, mi hanno fatto sentire uno di loro!

5) Cosa ama la clientela della Locanda e quali sono i piatti più richiesti?

Dalle recensioni, gli ospiti apprezzano la qualità e la freschezza dei nostri piatti, le varie paste fresche fatte in casa dal mio chef e i dolci sempre realizzati da lui; oltre alla cordialità del personale e il fatto che si sentono da subito come a casa. Tra i miei ospiti abituali, molti sono di Sant’Egidio, incontrarli ogni volta è un’enorme piacere. Le portate più gradite sono: lo scialatiello amalfitano allo scoglio; i ravioli ripieni di pesce spada, con olive, capperi e pomodorini; gli gnocchi con pesto di pistacchio e salmone; la candela spezzata a mano alla genovese di tonno.

6) Come potrebbe incrementare il turismo Sant'Egidio? La ristorazione di qualità potrebbe essere la giusta soluzione?

Sant’Egidio ha un grandissimo potenziale e tantissimo viene fatto per incrementare il turismo e portare in alto il nome del nostro paese dalla Pro Loco, che si impegna costantemente. Dal mio punto di vista, bisognerebbe valorizzare al massimo la bellezza che già c’è, ma anche aiutare con finanziamenti nuove attività soprattutto nel centro storico.

7) Quali ricordi la legano di più alla sua terra?

I ricordi sono quelli dell’infanzia spensierata e felice, legati in modo particolare alla mia famiglia ed ai miei nonni, che non ci sono più ma che mi hanno insegnato ogni cosa della vita. Ho due stupendi genitori che mi hanno sempre sostenuto in tutto e che amo molto, e due fratelli ai quali sono molto legato, siamo una famiglia molto unita.

8) Tra i suoi progetti futuri potrebbe esserci l'apertura di un secondo locale proprio a Sant'Egidio?

In realtà più di una volta ho pensato di aprire un’attività nel mio paese natìo, non escludo che questo possa avvenire.

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Annamaria Parlato 30/07/2024

Nell'Agro nocerino-sarnese si conservano i pomodori autoctoni per l'inverno

Il pomodoro secco è nato come risposta pratica e ingegnosa alla necessità di conservare lo stesso durante i mesi invernali, quando la disponibilità di quello fresco era limitata. L'usanza estiva dei pomodori secchi è una tradizione molto radicata in diverse regioni del sud Italia, specialmente in Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata. Questa pratica consiste nel conservare i pomodori attraverso l'essiccazione al sole, un metodo antico e naturale che permette di mantenere il gusto e le proprietà nutritive del frutto per lunghi periodi, senza necessità di refrigerazione.

Questo metodo ha radici antiche e si è sviluppato in diverse culture mediterranee, dove le condizioni climatiche erano ideali per l'essiccazione naturale degli alimenti. L'essiccazione è una delle più antiche tecniche di conservazione degli alimenti, utilizzata molto prima dell'invenzione della refrigerazione. Popoli antichi come gli Egizi, i Greci e i Romani essiccavano vari tipi di frutta e verdura per conservarli durante i periodi di scarsità.

Il pomodoro è originario delle Americhe e fu introdotto in Europa dai colonizzatori spagnoli nel XVI secolo. Inizialmente, il pomodoro era considerato una pianta ornamentale e solo gradualmente fu accettato come alimento. Nel sud Italia, il pomodoro divenne rapidamente una parte integrante della dieta locale, grazie al clima caldo e soleggiato che favoriva la coltivazione di questa pianta. Le comunità rurali del Meridione e di altre regioni mediterranee iniziarono ad adattare le tecniche di essiccazione già utilizzate per altre piante, come i fichi e le olive, applicandole ai pomodori. La tecnica dell'essiccazione al sole si sviluppò in modo particolare in regioni come la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania, dove il sole estivo è particolarmente intenso e l'umidità è bassa. Questo metodo permetteva alle famiglie di evitare gli sprechi, utilizzando tutto il raccolto di pomodori anche quando era abbondante.

Con il passare del tempo, il pomodoro secco divenne una parte importante della cucina tradizionale italiana e mediterranea. Le ricette e le tecniche di essiccazione si tramandavano di generazione in generazione, diventando parte del patrimonio culinario locale. La crescente popolarità della cucina mediterranea a livello internazionale ha portato il pomodoro secco sulle tavole di tutto il mondo, rendendolo un ingrediente apprezzato in molte ricette. L'essiccazione concentra il sapore dei pomodori, esaltandone la dolcezza e l'intensità. Questo rende i pomodori secchi un ingrediente versatile, utilizzabile in una vasta gamma di piatti, dai primi alle insalate, dalle salse ai contorni. I pomodori secchi mantengono gran parte dei nutrienti presenti nei pomodori freschi, come le vitamine A e C, il licopene e altri antiossidanti benefici per la salute. Sono facili da conservare e hanno una lunga durata, specialmente se immersi in olio d'oliva o in contenitori ermetici in un luogo fresco e buio.

Per la procedura tradizionale vengono scelti pomodori maturi, solitamente della varietà San Marzano o Piennolo, che sono tipici dell’Agro nocerino-sarnese, particolarmente carnosi e adatti all'essiccazione. I pomodori vengono lavati, tagliati a metà longitudinalmente e disposti su graticci o reti di essiccazione, con la parte tagliata rivolta verso l'alto. Le metà dei pomodori vengono cosparse con sale grosso, che aiuta a disidratarli e a preservarne il colore e il sapore. I pomodori vengono esposti al sole per diversi giorni, in genere da una settimana a dieci giorni, a seconda delle condizioni climatiche. Durante questo periodo, vengono ritirati ogni sera per proteggerli dall'umidità notturna e coperti con teli leggeri per preservarli da insetti e polvere.

Una volta completamente essiccati, i pomodori vengono raccolti e conservati in vasetti di vetro con olio d'oliva, eventualmente aromatizzati con aglio, peperoncino, origano o altre erbe aromatiche. Possono essere anche conservati in sacchetti di tela o contenitori ermetici, in luoghi freschi e asciutti. Sono estremamente versatili e possono essere utilizzati in vari modi in cucina: sono ideali come antipasto, spesso accompagnati da formaggi, olive e pane; aggiunti a pasta e risotti, per un tocco di sapore intenso e dolce; utilizzati in farciture di carne, pesce o verdure; nelle insalate, per un gusto deciso; tritati e usati come condimento per pizze, focacce o bruschette. Questa cibo tradizionale non solo celebra la stagionalità e la conservazione naturale degli alimenti, ma rappresenta anche un legame con la cultura e le radici gastronomiche delle regioni mediterranee.

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Annamaria Parlato 24/06/2025

"Volta del Fuenti", parte dal verde il racconto in cucina del sarnese De Blasio

Sospeso tra macchia mediterranea, cielo e mare, ai Giardini del Fuenti (struttura a Vietri sul mare gestita dai fratelli Alessandra e Pier Luigi De Flammineis) il ristorante fine dining "Volta del Fuenti", sorto nel 2022, è un punto di vista sul mondo. Una lente attraverso cui osservare la Costiera Amalfitana, la natura, il tempo, e se stessi. A guidare questa visione è lo chef Michele De Blasio, che nella sua stella Michelin, conquistata nel 2024, ha trovato non un traguardo, ma un punto di partenza.

De Blasio è originario di Sarno, nato nel 1985 ha accumulato esperienze in Italia e all'estero, lavorando con chef rinomati come Riccardo Camanini, Pierre Gagnaire, Pino Lavarra e Alain Ducasse. Il suo racconto al Volta del Fuenti parte dal verde – inteso come colore, pensiero, coscienza – e si traduce in piatti che riflettono la vita, la terra e il mare, con un lessico nuovo, colto e sostenibile. Nel mondo di De Blasio, il verde è un pigmento e una presa di posizione. È la foglia, l’alga, l’erba, ma anche ciò che è giovane, vivo, non addomesticato. È l’ingrediente primario e la traccia emotiva che collega ogni piatto alla terra e al tempo presente.

La brigata in cucina, guidata dallo chef, segue un “orto-ritmo” che privilegia prodotti locali e raccolti nel giorno, con percorsi stagionali e zero sprechi: erbe e alghe che arrivano dal giardino sotto la terrazza, vegetali recuperati in essiccazione e fermentazioni spontanee, in perfetta armonia con la filosofia dell’ambiente. Ad accompagnare l’esperienza, in sala, c’è il salernitano Wladimiro Giordano, restaurant manager e narratore d’atmosfera, che costruisce un perfetto controcanto enoico ai piatti dello chef con abbinamenti ricercati, dinamici, che rispettano il territorio e amplificano l’eco dei sapori.

Si comincia con un viaggio multisensoriale tra flora e fauna della Costiera Amalfitana: uno snack di benvenuto che è insieme manifesto e gioco. Dalla finta oliva di portulaca al tacos vegetale con gel di polpo e misticanza, ogni finger è una micro-scenografia. Una stella marina con mousse di tonno, plancton e cipolla locale, una crostatina con ragù di totanetti, polvere di capperi e spuma di patate avvolta da lardo di totano, e ancora alice affumicata in crosta di pane alle alghe, gel di salsa ponzu e stravecchio di bruna alpina, fino alla sorprendente cozza e pecorino, servita con la sua maionese nel suo guscio ricostruito al nero di seppia e pecorino totalmente edibile, ricoperto di salicornia ed erba cipollina con i suoi fiori.

Non mancano ironie campane, come l’asinello vietrese ripieno di insalatina di “per e o muss” o il cavalluccio marino in tuile di parmigiano con crema di limone bruciato, finocchietto marino e alla base alghe Gracilaria Hayi: piatti che uniscono arte e territorio, gioco e memoria. Si abbina a questi assaggi marini e vegetali il Rosé de Noirs Nature di Nicola Gatta, spumante metodo classico da uve Pinot Nero, nitido e raffinato, le cui bollicine affusolate si sposano con grazia con la mineralità marina e le note verdi, restituendo al palato un’armonia di freschezza, erbe e accenni di frutti rossi croccanti. Sfumature di fragoline selvatiche, pan brioche e cedro emergono con eleganza. Gatta, vignaiolo biodinamico del Franciacorta, predilige fermentazioni spontanee e packaging riciclato, un’allineamento totale con la filosofia del ristorante.

L’antipasto, “Frutta secca con spinaci e sesamo”, è una rivisitazione vegetale del foie gras che gioca con le consuetudini francesi e la convivialità campana dell’usanza dello “spasso”. Un piatto spalmabile, evolutivo, che si accompagna a pane al sesamo e si muove tra dolcezza, tostatura e note vegetali con delicatezza disarmante. Poi arrivano i ravioli di farina di piselli, ripieni con piselli centogiorni in crema e serviti con una spuma di lattuga, piselli sbucciati nel piatto e cipollotto nocerino bruciato. Un quadro astratto verde su verde, un omaggio a Rothko e alla profondità che il monocromo sa evocare.

A completare e amplificare questa doppia espressione vegetale, il Sancerre L’Authentique 2023 di Thomas Labaille, Sauvignon Blanc di purezza lapidea e freschezza tagliente, che illumina la verticalità dei piatti con tratti agrumati, erbe fini e un fondo gessoso che richiama la profondità della terra da cui nascono spinaci, piselli, cipollotti, chiaro omaggio all’Agro Nocerino-Sarnese.

Come secondo, il dentice cotto a bassa temperatura con tè nero affumicato cinese Lapsang Souchong, limone in tutte le sue forme (scorza, foglie e polvere) ed erbe rafanate conferma la capacità dello chef di muoversi tra mare e orto, tra Asia e Campania, tra affumicato e agrumato, restando sempre fedele al pensiero del verde. In abbinamento, il Pinot Gris Greywacke 2021, espressione neozelandese di intensità e misura, avvolge il piatto con una tessitura ampia e vellutata, che unisce pera matura, spezie leggere e mineralità fumé, ricalcando la scia del tè e aprendo uno spazio gustativo ampio e profondo.

Altri capolavori sono i grissini all’olio d’oliva, sottilissimi e tirati a mano; la focaccia ai grani antichi e semi idratata all’80% con 36 ore di lievitazione, su cui spalmare burro montato al momento, ricavato da panna di primo affioramento di latte di vacca Jersey; il pane sfogliato al pepe nero, miele di abete e sale maldon, un must dello chef, la cui particolare forma può ricordare sia una torta di rose sia un soufflè arioso che crea dipendenza al primo morso.

Il pre-dessert è una “limonata da bere” – infuso di verbena, cetriolo, kefir lime, erbe spontanee – che rinfresca e purifica, come un piccolo giardino liquido. “Chi è il Moro?” è un dessert concettuale e divertente, ma anche riflessivo sul tema della crisi d’identità: un medaglione di cioccolato bianco dipinto con una testa di moro che strizza l’occhio, con una ganache interna al cioccolato fondente, alternata a liquirizia e aglio nero fermentato, è accompagnato da un bignè servito nella sua coppetta di porcellana con gelato al cioccolato fondente bianco, ottenuto dall’infusione dei semi di cacao. A tavola arriva anche una frase di Pirandello, che ricorda come l’identità sia una realtà sfuggente, frammentaria, e mai completamente conoscibile: "Ciò che sappiamo di noi stessi è solo una parte, forse una parte molto piccola, di chi siamo veramente". L’abbinamento con lo Ximénez-Spínola Pedro Ximénez Sherry Solera 1918 è sontuoso: note dense di datteri, fichi secchi, liquirizia, tabacco e resine antiche, che si intrecciano perfettamente con il registro profondo del dolce, chiudendo la degustazione come un sipario ricamato, denso di simboli.

Sbalorditiva la piccola pasticceria, composta da caramella Rossana ricostruita con pera osmotizzata alla mandorla con la sua velina edibile; mini sfogliatella napoletana riccia di sola mela e farcita con una crema della mela stessa all’acqua senza latticini e aroma di liquore Strega; Ferrero Rochè in foglia d’oro con pirottino di carta commestibile ripieno di melanzana alla cicoccolata e granella di nocciola, servita con un Kona Coffee Hawaiian dal gusto ricco, morbido, sapore di cioccolato fondente e acidità delicata.

L’intero percorso è costruito con coerenza estetica e profondità intellettuale, in cui ogni piatto è un frammento di un racconto più grande: quello di una cucina che osserva la natura con rispetto, che parla la lingua del tempo e che fa del verde – colore, etica, visione – il proprio centro poetico. Volta del Fuenti è un giardino narrativo affacciato sul Mediterraneo, dove il futuro ha il sapore della terra e il profumo del mare.

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Redazione Sarno 24 21/08/2024

"Le vie del gusto" a Sarno, primo appuntamento il 23 agosto

Anche nel 2024 torna l'atteso appuntamento con l'evento culturale ed enogastronomico “Le Vie del Gusto”, organizzato dal Comune di Sarno. L’iniziativa è volta a promuovere la città e il suo centro storico, attraverso un percorso che unisce musica, storia, prodotti tipici e tradizioni locali.

L’evento, che si snoderà tra Corso Amendola, Via De' Liguori, Via Fabricatore e Piazza IV Novembre, offrirà anche animazione e spettacoli di giovani artisti sarnesi. Dopo il primo appuntamento del 23 agosto, dalle ore 20:00, il programma proseguirà con altre serate il 30 agosto, il 6 settembre, il 13 settembre e il 20 settembre.

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