Gli ortaggi dell'estate sono i peperoni, nell'Agro nocerino-sarnese i migliori
Vennero introdotti in Europa da Cristoforo Colombo, che li portò dalle Americhe
Annamaria Parlato 28/08/2024 0
Assieme ai pomodori, alle zucchine e alle melanzane, è lui il vero ortaggio dell’estate, da consumare crudo o cotto, ripieno o grigliato. A cambiare sono il colore, che va dal giallo al rosso, la forma, il sapore e le modalità di conservazione. Il peperone è originario dell’America meridionale e la pianta ha fusto eretto verde con foglie lanceolate, fiori piccoli con corolla bianca e cinque lobi. I frutti, ossia i peperoni, sono bacche non succulente, peraltro carnose, cave internamente: vi sporgono dei setti membranosi ed una massa globosa di tessuto placentare a cui aderiscono i semi, pressoché arrotondati.
Commestibili, sono i frutti più saporiti dell’estate: ora cubici e tozzi per forma, ora globosi e compressi, altre volte allungati e appiattiti, o infine lunghi e sottili. Si consumano sia freschi che conservati ed il loro sapore può essere dolce o acre e pepato, per l’azione irritante del capsicolo. La prima differenza tra le varie tipologie di peperoni riguarda i colori: rosso, giallo e verde. Il peperone rosso ha polpa croccante e consistente e sapore deciso, ideale per preparare bruschette o contorni. Quello giallo è più carnoso e succoso, con un sapore più dolce e una maggiore tenerezza: perfetto per i peperoni in agrodolce o per il pollo con i peperoni. I peperoni verdi non sono invece nient’altro che gli esemplari non ancora pienamente maturati delle varianti rossa e gialla. Il gusto leggermente acidulo lo rende perfetto per le insalate, anche a crudo.
Il peperone è stato introdotto in Europa da Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493. Gli agricoltori locali, probabilmente, selezionarono peperoni privi di piccantezza, da cui si è originato l'ecotipo "cazzone rosso e giallo" nell'Agro nocerino-sarnese. Fino a 40-50 anni fa, era tra le principali varietà di peperone che veniva coltivata prevalentemente nella zona. Poi, come molte altre cultivar antiche, ha subito gli effetti nocivi dell'avvento degli ibridi. L'epoca di coltivazione va da aprile a fine ottobre; la raccolta viene effettuata dalla fine di luglio a fine ottobre. Il peperone "Cazzone" è apprezzato per le sue proprietà organolettiche. Trova impiego in numerose preparazioni gastronomiche, imbottito, con la pasta e fritto.
Il peperone "Sassaniello", altra varietà tipica dell’Agro, è a forma di parallelepipedo di colore verde (frutto immaturo), rosso o giallo a maturazione, con l'estremità plurilobata. La coltivazione va sempre da aprile a fine ottobre e la raccolta viene effettuata da fine luglio a fine ottobre. In cucina si consuma per lo più grigliato, sott'olio, ripieno al forno o nella peperonata. Tra le numerose varietà di peperoni prettamente campani si ricordano anche il quadrato di Napoli o Nocera, il peperone corno di bue, il peperoncino verde di fiume e la papaccella napoletana.
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Annamaria Parlato 14/12/2024
Angri, la ricetta della "scarola capillina" imbottita di Zia Nennella
La scarola (nome scientifico Cichorium endivia, varietà latifolium) ha una storia che affonda le sue radici nell'antichità ed è legata alla famiglia delle cicorie. È una pianta erbacea originaria del bacino del Mediterraneo, coltivata e apprezzata per il suo gusto delicatamente amarognolo e per le sue proprietà salutari. Era conosciuta già dagli Egizi e dai Greci, che ne apprezzavano il valore medicinale e alimentare, infatti la usavano sia cruda che cotta, come ingrediente per insalate e decotti. I Romani svilupparono tecniche di coltivazione per migliorarne il gusto, rendendola meno amara rispetto alle piante selvatiche. Scrittori come Plinio il Vecchio la menzionano come alimento comune e salutare, lodandone le virtù digestive.
Durante il Medioevo, la scarola fu coltivata nei monasteri come pianta medicinale e alimentare. La sua capacità di crescere anche nei climi più freddi ne favorì la diffusione in tutta Europa. Veniva utilizzata soprattutto per bilanciare i pasti a base di carne, considerati "pesanti". Nel Rinascimento, con lo sviluppo dell’agricoltura, la scarola iniziò a essere selezionata per ottenere varietà più tenere e meno amare. Fu in questo periodo che divenne un ingrediente popolare nelle cucine nobili, oltre che in quelle popolari.
Oggi è una delle verdure simbolo della cucina mediterranea, soprattutto nel Meridione, dove ha trovato il suo massimo utilizzo in piatti tipici come la pizza di scarola e la scarola imbottita. Questa verdura è strettamente legata alla tradizione contadina, che ne apprezzava la capacità di resistere al freddo, rendendola un ortaggio invernale perfetto. Nelle regioni italiane del Sud, come Campania e Puglia, è diventata un ingrediente irrinunciabile durante le festività natalizie. La scarola ha quindi attraversato i secoli, evolvendo da pianta selvatica a coltivazione raffinata, diventando simbolo di una cucina semplice ma ricca di sapori.
Ha molteplici proprietà benefiche per la salute, grazie alla sua ricchezza di nutrienti e composti bioattivi. È un alimento leggero, disintossicante e versatile, ideale per mantenere il benessere dell'organismo. In natura esistono due generi, liscia e riccia, che vengono utilizzati per diverse preparazioni in cucina. Ad Angri, nel salernitano, è nota la "scarola capillina", una varietà di indivia riccia a ciclo invernale. Forma un cespo compatto e grande, con foglie finemente laciniate di colore verde chiaro, quasi "filiformi", da cui deriva il nome, e un cuore bianco se legato o coperto prima del consumo. Può raggiungere i 45 cm di diametro e un peso consistente. È resistente alla salita a seme e ha un sapore delicato, leggermente amarognolo.
È perfetta per ricette come insalate crude, zuppe leggere, o in preparazioni tradizionali stufate o imbottite, dove il suo gusto si esalta. Questa varietà è meno robusta rispetto alle scarole più comuni, quindi richiede una maggiore attenzione nella pulizia e nella cottura per preservarne la consistenza. Ottima in brodo con le polpettine, come ripieno della pizza rustica, con i fagioli, all’insalata o con il baccalà, magnifica ripiena e stufata, diventa un secondo gustoso da proporre nelle festività natalizie.
Questa è la ricetta della signora Immacolata Parlato, confidenzialmente zia Nennella, che aggiunge un tocco personale e ricco alla preparazione, che in origine nasce con meno ingredienti. Per raggiungere una cottura perfetta si consigia di utilizzare un tegame dai bordi alti, possibilmente di rame, poiché le scarole vengono adagiate una accanto all’altra e all’impiedi, legate con un filo di spago da cucina.
Ingredienti per 4 persone: 4 cespi di scarola capillina, 200 g di salsiccia fresca, 8-10 pomodorini spunzilli o ciliegini, tagliati a metà, 4 filetti di acciuga sott'olio, 2 cucchiai di capperi dissalati, 50 g di olive nere denocciolate (tipo Gaeta), 40 g di parmigiano grattugiato, 2 spicchi d'aglio, olio extravergine d'oliva, sale e pepe q.b., spago da cucina.
Preparazione della scarola: pulite i cespi di scarola, eliminando eventuali foglie rovinate; lavate accuratamente sotto acqua corrente per eliminare eventuali residui di terra; sbollentate i cespi per 3-4 minuti in acqua salata, quindi scolateli e lasciateli intiepidire su un canovaccio.
Preparazione del ripieno: in una padella, scaldate un filo d'olio con uno spicchio d'aglio; aggiungete i filetti di acciuga e fateli sciogliere delicatamente; unite la salsiccia sgranata, i pomodorini, i capperi e le olive; cuocete il tutto per circa 8-10 minuti, regolando di sale e pepe; spegnete il fuoco e aggiungete il parmigiano grattugiato, mescolando bene.
Farcitura e legatura: allargate delicatamente ogni cespo di scarola su una superficie piana; farcite il centro con una generosa quantità di ripieno, richiudete le foglie su se stesse e legate ogni cespo con lo spago da cucina, formando un pacchetto compatto.
Cottura finale e servizio: in una casseruola capiente, scaldate un filo d'olio e l'altro spicchio d'aglio; sistemate i cespi di scarola legati nella casseruola e fateli rosolare su entrambi i lati; aggiungete un mestolo d'acqua o brodo vegetale, coprite con un coperchio e lasciate stufare a fuoco lento per circa 15-20 minuti, girando a metà cottura; rimuovete lo spago e servite i cespi di scarola imbottiti caldi o tiepidi, accompagnati da un buon pane casereccio.
Annamaria Parlato 31/07/2024
Le dolcissime "nettarine bianche" nocerine sono alleate della prova costume
Il pesco è una pianta fruttifera appartenente alla famiglia delle Rosacee. Ha mole modesta, raggiunge al massimo i 4 metri d’altezza: ha rami divaricati e foglie lanceolate, seghettate e con breve picciolo, di colore verde più o meno chiaro. I fiori hanno 5 petali rosei e numerosissimi stami. I frutti o pesche sono drupe, di solito sferoidali, suddivise in superficie in due metà, quasi simmetriche, da un solco laterale che va dalla cavità peduncolare all’apice, quest’ultimo in alcune varietà umbonato: molto variabili, secondo le cultivar, appaiono inoltre la grossezza del frutto, il suo colorito, la fragranza della polpa.
Le pesche, di sapore gustoso e profumo gradevole, sono apprezzate sia fresche che secche, in sciroppi, in confetture o candite. In Italia, dove la coltivazione delle pesche è favorita dal clima e dalla natura del terreno di alcune regioni, si pratica questo tipo di coltura sin dall’antichità. Per l'arrivo delle pesche nella zona mediterranea si deve ringraziare Alessandro Magno. È stato lui, infatti, a portarle a Roma: ne era rimasto colpito mentre visitava i giardini di Dario III in Persia. I Romani per primi furono grandi consumatori di pesche, trasportandole dalla Persia nel 50 a.C.; in realtà, il pesco è originario della Cina, dove cresce spontaneo.
Le pesche sono il simbolo della stagione estiva, annoverano molte proprietà benefiche, sono alleate della forma fisica, per arrivare in piena forma alla prova costume. Oltre ad essere ipocaloriche e del tutto prive di grassi, hanno proprietà antiossidanti. Ne esistono diverse varietà: si va dalla pesca gialla a quella bianca, dalla tabacchiera alla nocepesca: maturano dalla fine di maggio alla fine di settembre. Nel territorio nocerino, in zona Starza, sono famose le nettarine bianche, caratterizzate dalla buccia liscia di color crema, tendente al verdognolo, senza la peluria tipica delle pesche comuni, e dalla polpa candida. Hanno un sapore dolce, aromatico e delicato e la polpa è morbida e succosa, ideale per essere consumata fresca. Richiedono tanta manodopera perché sono molto delicate, anche se la richiesta sul mercato è vastissima poiché si tratta di un prodotto di gran pregio. Tra esondazioni dei torrenti circostanti e la cementificazione, i suoli per la coltivazione si tanno riducendo sempre più, tant’è che i frutti rischiano l’estinzione.
Le nettarine possono essere mangiate da sole o in macedonia. Utilizzate in pasticceria per aromatizzare torte e semifreddi, sono ideali nella realizzazione di sorbetti e gelati. Nei piatti salati diventano un originale antipasto, ma rendono raffinati anche risotti e primi piatti di pasta ripiena. Se abbinate alle carni, soprattutto al maiale, regalano un tocco di freschezza e colore. Le pesche sono un ottimo alleato della circolazione e aiutano ad eliminare il mal di testa. Essendo ricche di acqua e fibre, sono indispensabili nelle diete ipocaloriche, in quanto hanno un’elevata capacità di stoppare la fame e saziare. Il colore della pesca ha ispirato molti pittori: si trovano pesche mature nei quadri di Caravaggio (1592), Monet (1866), Renoir (1880) e Van Gogh (1888).
Annamaria Parlato 26/09/2025
Nell'Agro nocerino il sedano è l'ortaggio che unisce campo e cucina
L’Apium graveolens, appartenente alla famiglia delle Ombrellifere, è una pianta erbacea di origine spontanea diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo e tipica delle zone paludose lungo le coste. Sui nostri mercati è reperibile attualmente, tra le altre, la varietà “dulce”, che comprende il sedano da coste, bianco o verde. Questa varietà viene usata prevalentemente come aromatizzante nei brodi, ma viene anche consumata cruda in insalata, in pinzimonio o come antipasto, riempiendo le coste di gorgonzola e burro o caprini conditi. Le foglie che generalmente si scartano, essiccate, permettono di avere sempre a disposizione questo aroma gradevolissimo.
Piuttosto diffusa è anche la varietà “rapaceum”, cioè il sedano-rapa di Verona o Praga. Il nome scientifico “Apium”, adottato da Linneo, deriva da àpios, parola con la quale i Greci identificavano sia il prezzemolo sia il sedano. Il termine italiano sedano deriva da sélinon, citato da Omero e Plutarco, ed era usato per incoronare i vincitori dei giochi degli eroi e per le corone mortuarie. Apicio, nel suo manuale di gastronomia, lo cita in ben 60 ricette. Fino al 1600 circa, il sedano conosciuto, l’apio, era esclusivamente selvatico; aveva un sapore amaro che si doveva eliminare con una bollitura preliminare. Fu merito degli italiani, che in quel secolo ne cominciarono la coltivazione orticola con metodi razionali e selettivi, se oggi possiamo gustarlo in tutta la sua dolcezza e per tutto l’anno.
Dice l’Artusi: “Gli antichi né banchetti, s’incoronavano colla pianta del sedano, credendo di neutralizzare con essa i fumi del vino”. Questa presunta dote fa sorridere il nostro buon senso. Le moderne tecniche di analisi permettono invece di qualificare questo vegetale tra i più ricchi di minerali, di nitrati e di vitamine, che gli conferiscono un’azione tonica e stimolante. E’ stimato un buon antireumatico, e il succo crudo, applicato sulle ferite, sembra essere un buon cicatrizzante.
Il sedano rappresenta una delle orticole più rilevanti della produzione integrata campana e dell’Agro Nocerino-Sarnese. Il disciplinare regionale dedica particolare attenzione alle fasi di semina, irrigazione e raccolta. La tecnica prevalente di impianto è il trapianto, che assicura uniformità e qualità: le piantine, allevate in semenzaio, sono pronte dopo circa 60-70 giorni, quando hanno sviluppato 4-5 foglie. In pieno campo il trapianto si effettua da aprile agli inizi di luglio per garantire produzioni estive e autunnali, mentre in coltura protetta i cicli possono essere programmati in autunno-inverno o inverno-primavera in base alle condizioni climatiche e alla disponibilità di riscaldamento. Le distanze consigliate sono di 70-90 cm tra le file e 20-25 cm sulla fila, per una densità che varia da 44.000 a 70.000 piante per ettaro (4,4-7 piante per metro quadrato); in coltura protetta gli investimenti sono più fitti, da 8 a 17 piante per metro quadrato con file a 40-60 cm.
I cicli colturali principali sono tre: raccolta estiva, con trapianto tra fine marzo e inizio maggio e raccolta da giugno; raccolta invernale, con trapianto a luglio e raccolta a fine gennaio; coltura forzata, attuata in serre o tunnel con cicli autunno-invernali o inverno-primaverili. L’irrigazione riveste un ruolo cruciale, poiché il sedano è sensibile ai ristagni: l’apporto idrico deve rispettare la capacità di campo e viene calcolato attraverso un bilancio idrico che tiene conto del tipo di terreno, delle fasi fenologiche e delle condizioni climatiche. Per gli impianti ad aspersione o a portata elevata, i massimali previsti per singolo intervento sono 350 m³/ha (35 mm) nei terreni sabbiosi, 450 m³/ha (45 mm) nei terreni franchi e 550 m³/ha (55 mm) nei terreni argillosi; non vi sono invece limitazioni per gli impianti a microirrigazione, come goccia o manichette a bassa portata, che permettono un uso più efficiente dell’acqua.
La raccolta avviene in un arco di tempo che varia da 80 a 150 giorni dal trapianto, a seconda della varietà e del periodo di coltivazione, e deve essere condotta in modo da preservare la croccantezza e la freschezza delle coste. Fondamentale è anche la gestione post-raccolta, che prevede il rapido conferimento ai centri di stoccaggio per garantire la qualità del prodotto. Il disciplinare pone infine l’accento sulla tracciabilità: i sedani coltivati secondo le regole della produzione integrata devono essere identificati e resi distinguibili rispetto ad altre produzioni, assicurando al consumatore un alimento di qualità certificata, ottenuto con tecniche sostenibili e rispettose dell’ambiente.
Il sedano è una coltura di valore agronomico e un ingrediente imprescindibile della cucina campana e in particolare dell’Agro Nocerino-Sarnese: compare infatti nell’insalata di stoccafisso o di baccalà, nel ragù “simil bolognese” utilizzato per condire le tagliatelle o i fusilli all’uovo, accompagna lo street food per eccellenza rappresentato da ‘o pere e ‘o muss, arricchisce la tradizionale minestra di lenticchie e più in generale svolge un ruolo fondamentale nel conferire sapore e struttura a piatti di grande identità territoriale.