Il nuovo menù pop di "Cinquanta - Spirito Italiano" a Pagani

Padellini, nuggets di pollo scucchiato, tapas all'italiana e cocktail avanguardisti con ingredienti del territorio

Annamaria Parlato 31/03/2024 0

Un menù pop o menù alla moda è generalmente caratterizzato da cibi semplici, gustosi e riconoscibili, spesso con un tocco moderno o creativo. Questi menù tendono ad essere easy ed accessibili, con piatti che richiamano la nostalgia o la familiarità, ma che sono presentati in modo fresco e innovativo. Frutto della combinazione tra piatti comfort food e gourmet, mescolano sapori tradizionali con presentazioni accattivanti. Questo tipo di proposte sono ideali per ristoranti informali, food truck, caffetterie alla moda e locali notturni, dove i clienti cercano un'esperienza culinaria divertente, gustosa e memorabile.

E’ un menu molto pop, che vuole divertire il nostro ospite, e vuole essere un nuovo punto di partenza per la cucina del Cinquanta - ha tenuto a precisare Alfonso Califano, anima del progetto paganese - Una proposta tradizionale ma molto divertente, come ad esempio la parmigiana in carrozza, il cavallo di battaglia di Alessandro Tipaldi, alias Ingordo, o la "Ricreazione", ossia la ciabatta con mortadella e provolone”.

Cinquanta - Spirito Italiano, locale di tendenza nato dall'intuizione di Natale Palmieri e Alfonso Califano circa tre anni fa, ha rivoluzionato il concetto di “bar all’italiana”, diventando un luogo di aggregazione e svago a 360 gradi, in cui si può leggere il giornale durante il momento della colazione oppure ci si può incontrare durante l’ora dell’aperitivo e del post-cena, o addirittura fermarsi per un pranzo o una cena veloce.

Il Cinquanta ne ha fatta di strada in tre anni, collezionando importanti riconoscimenti di settore, e avvalendosi della collaborazione di esperti chef, ognuno dei quali ha lasciato la sua impronta e il proprio modus operandi in ogni piatto fumante fuoriuscito dalla instancabile cucina. A completare tutto, la bravura dei bartender e del personale di sala, sempre attento a soddisfare ogni esigenza della clientela di tutte le età.

Punto di forza del locale è infatti la cockteleria, sicuramente tra le più avanguardiste del territorio campano e salernitano; riferimento stabile al momento, almeno per quanto riguarda il meridione d’Italia. Il “Lasciati andare” del Cinquanta, originale claim in arancione fluo, quindi, coinvolge il palato in ogni sua declinazione. La mixologia artigianale qui rappresenta l'arte e la scienza della creazione di cocktail unici e di alta qualità, attraverso l'uso di ingredienti freschi, tecniche avanzate e una profonda conoscenza dei sapori e degli equilibri gustativi.

Al Cinquanta si pone una grande enfasi sull'uso di materia prima d’eccellenza, come distillati premium, liquori artigianali, sciroppi fatti in casa, succhi freschi, erbe aromatiche, spezie e infusi botanici. L'obiettivo è creare cocktail che esaltino i sapori naturali degli ingredienti e offrano una esperienza gustativa superiore. I bartender del Cinquanta sono maestri nell'utilizzare una varietà di tecniche di preparazione, tra cui l'infusione, l'affumicatura, la carbonazione, il fat-washing (aromatizzazione del liquore con grassi come il burro o il lardo) e il sous-vide (cottura a bassa temperatura). Queste tecniche permettono di creare cocktail con sapori e aromi intensi e complessi.

Da pochi giorni è stato presentato il menù firmato dal farmacista e food blogger Ingordo, ricco di interessanti novità. “Abbiamo cercato di porre al centro del progetto il cibo nazional popolare, che parte dall'Italia ma si lascia andare ad influenze internazionali, come ad esempio le nuggets con pollo scucchiato o il padellino paganese con carciofo e pancetta di Rubia Gallega”, ha affermato Alessandro Tipaldi. Le proposte prendono ispirazione dalle tapas, piccoli piatti tradizionali della gastronomia spagnola, serviti come antipasto o come accompagnamento a una bevanda.

La parola "tapas" deriva dal verbo spagnolo "tapar", che significa "coprire". L'origine di questo termine e del concetto di tapas ha diverse storie e leggende che ne raccontano la nascita. Una delle storie più popolari vuole che le tapas siano nate come un modo per coprire le bevande con un pezzo di pane o un altro alimento, per prevenire l'ingresso di mosche o polvere. Gli spagnoli avrebbero poi iniziato ad aggiungere sopra questi "coperchi" piccoli piatti di cibo, dando vita alle tapas come le conosciamo oggi.

In carta funziona bene il pane, pomodoro e scottona, che prende ispirazione dal “pan y tomate”, dove però al posto dello jamon iberico c’è un carpaccio di scottona selezione Baraonda e il pomodoro viene grattugiato e condito con olio, aglio, basilico, sale e pepe. Anche le fifty nuggets in chiave italiana, da intingere nella mayo al lime o nella barbecue della casa, sono goderecce e si lasciano divorare come le ciliege, poiché al loro interno c’è del pollo scucchiato cotto lentamente e sfilacciato, succoso e molto campagnolo, a cui è abbinato il cocktail "Casa Maria" a base di vodka alla provola affumicata, pomodoro pelato e passata di pomodoro Casa Marrazzo chiarificati, salsa di soia, tabasco e basilico.

Siamo molto felici di questa collaborazione perché punta a migliorare la nostra offerta food, sia per la pausa pranzo che per la cena - ha dichiarato Natale Palmieri, il bartender classificatosi al 2° posto alla World Class Italy 2022 e colonna portante del progetto Cinquanta - Inoltre abbiamo arricchito la nostra selezione di materie prime con collaborazioni di livello: alcune storiche, come quella con Casa Marrazzo Conserve, che ci accompagna fin dall'inizio, altre nuove, come quella con Peppe Menichini del Baraonda, che seleziona e confeziona dei salumi appositamente per noi”.

Interessanti anche la “tartare è tonnata” con carne di filetto del Salumificio Fezza, condita con la salsa tonnata composta da mayo, uova sode fredde, capperi, tonno e cucuncio con polvere di limone per guarnire, abbinata al cocktail “Death in the afternoon” con alsace riesling dopp&irionn, la fee assenzio, angostura orange, la parmigiana in carrozza e il polpo e patate da gustare con un “London Calling” in cui c’è del gin bombay premier cru, sherry tio Pepe Palomino Fino, succo di limone, zucchero e angostura orange.

I padellini sono imperdibili, frutto di ricerca e perfezionamento di Alessandro Tipaldi, allievo e amico di Gabriele Bonci. Gli impasti hanno un’idratazione dell’80% e la maturazione è di circa 36 ore. La maturazione viene realizzata con doppio pre-fermento: un poolish idratato al 100% e una biga al 55%. Questi due preimpasti vengono uniti dopo aver fatto 24 ore di fermentazione e fatti rifermentare altre 12. Prima di infornare, viene aggiunta salamoia di pomodoro.

Consigliata la Cosacca 2.0 ma ancora di più la Paganese multicereale ripiena, che vuole onorare uno dei prodotti simbolo di Pagani, il carciofo. Nel periodo pasquale viene mangiato arrostito assieme a salumi e formaggi. A completare l’imbottitura ci sono del primosale e pancetta di Rubia Gallega. I profumi di questa focaccia vengono esaltati se abbinati ad una birra California West Coast IPA 6,3% vol. di Mastri Birrai Umbri, dal colore dorato corposo e velato, spuma a grana fine, molto persistente. L'aroma è caratterizzato da note agrumate, erbacee e resinose di luppolo appena raccolto. Il gusto si basa sull'amaro del luppolo con lievi note di malto, una birra medio-leggera con un'elevata persistenza retro-olfattiva.

Per concludere, si può ordinare una pizza di gallette al “Limoncello Nazionale”, con i biscotti bagnati al limoncello e ripieni di crema pasticcera al limone, servita con un cocktail “Delizia al limone” composto da gin bombay premier cru, limoncello nazionale, liquore al cacao bianco e panna fesca.

Oggi, i bar sono una parte integrante della cultura moderna in tutto il mondo, continuano a evolversi, offrendo nuove esperienze e opportunità per socializzare in un ambiente confortevole e accogliente; Cinquanta - Spirito Italiano ne è un esempio lampante e vincente.

Cinquanta Spirito Italiano è un cocktail bar all’italiana nato nel 2021 a Pagani, in provincia di Salerno. Nel 2021 Gambero Rosso lo inserisce tra i “Bar d’Italia”, mentre Bargiornale lo elegge “Bar Rivelazione d’Italia”. Nel 2022 e nel 2023 viene nominato tra i primi 200 bar al Mondo da “500 Top Bar”. Nel 2023 viene nominato come il miglior “Bar Team dell’Anno” d’Italia secondo Bargornale, alla nona edizione dei Barawards, mentre il bartender Emanuele Primavera riceve il premio come “Best Bartender under 35” alla quarta edizione dei “Food & Wine Italia Awards 2023”. Nel 2022 colleziona il secondo posto come “Miglior Bar Team d’Italia” secondo Bargiornale; nuovamente inserito tra i “Bar d’Italia” secondo Gambero Rosso; il general manager Natale Palmieri si classifica al 2º posto alla WorldClass Italia; il bartender e direttore di sala Emanuele Monteverde si classifica al 2º posto Patròn Perfectionist Italia.

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Annamaria Parlato 17/01/2025

Storia e cultura nel soffritto di Sant'Antuono, tipico dell'Agro Nocerino

Il soffritto, piatto partenopeo, mantiene una forte presenza culturale anche nell’Agro nocerino-sarnese, dove è particolarmente consumato durante la festa di Sant’Antuono, il 17 gennaio. Questa celebrazione, dedicata al santo protettore degli animali, è caratterizzata da tradizioni culinarie che includono piatti a base di maiale, tra cui il soffritto. La preparazione di questa pietanza, in occasione della festa, diventa un momento di condivisione comunitaria, rafforzando il legame tra cibo e tipicità.

Nonostante le sue umili origini, il soffritto è oggi considerato patrimonio gastronomico regionale. Piatti come la pasta con il soffritto, le bruschette, la pizza fritta o persino il “cuzzetiello” al soffritto ne testimoniano la versatilità. Il suo sapore intenso e unico continua a raccontare la storia di un popolo capace di trasformare ingredienti semplici in capolavori culinari. Con il suo sapore deciso e piccante, dato dall'abbondante utilizzo di peperoncino e concentrato di pomodoro, la “zuppa forte” racchiude secoli di storia e cultura gastronomica.

Questo piatto, che utilizza frattaglie di maiale come cuore, polmone, fegato, trachea, diaframma, reni e milza, nacque dalla necessità di sfruttare ogni parte dell'animale, un principio fondamentale della cucina popolare partenopea. Un ruolo fondamentale nella diffusione del soffritto fu svolto dalle "zendraglie", le venditrici ambulanti di frattaglie e interiora animali. Queste donne, figure iconiche della Napoli settecentesca, popolavano i mercati rionali e i vicoli della città, trasformando la vendita in una performance pubblica con grida e canti. Il termine "zendraglia" deriva probabilmente dal dialetto e richiama materiali di scarto, in linea con la merce venduta: parti meno pregiate degli animali, rese accessibili alle classi popolari; contribuirono a radicare nella cultura culinaria napoletana il principio del non spreco e l'importanza di valorizzare ogni risorsa disponibile.

Il piatto ha in ogni caso origini antiche e il suo primo riferimento scritto si trova in "La Cucina Teorico-Pratica" (1837) di Ippolito Cavalcanti. Questo nobile appassionato di cucina non solo codificò ricette aristocratiche, ma raccolse anche piatti popolari, descrivendoli in dialetto napoletano. La ricetta del soffritto, con le sue interiora di maiale insaporite da spezie e pomodoro, riflette la tradizione popolare di valorizzare ogni risorsa disponibile. Ulisse Prota Giurleo, noto studioso delle tradizioni napoletane, ha riportato una ricetta manoscritta del soffritto datata 1743, rinvenuta sul retro di un documento notarile. Attribuita ad Annarella, proprietaria di una taverna a Porta Capuana, questo documento descrive l’uso di frattaglie cotte nello strutto con aglio e alloro. Prota Giurleo ha anche documentato i garzoni delle taverne che invitavano i passanti a gustare il soffritto, testimoniando l’importanza di questo piatto nella cultura popolare.

Salvatore Di Giacomo ha celebrato la cucina napoletana nelle sue opere, descrivendo l’amore del popolo per piatti semplici e saporiti, contribuendo a preservare l’identità culinaria partenopea. Anche Matilde Serao, nel suo celebre "Il ventre di Napoli" (1884), menziona il soffritto, definendolo dinamite e descrive il cibo come specchio delle condizioni sociali. Nel capitolo "Quello che mangiano", Serao racconta la creatività dei napoletani nel trasformare ingredienti poveri in piatti saporiti. Il soffritto si inserisce perfettamente in questo contesto culturale, rappresentando l'ingegno e la resilienza del popolo partenopeo.

Per realizzarlo vi sono diversi passaggi da seguire. Bisogna innanzitutto lavare accuratamente le frattaglie sotto acqua corrente fredda per eliminare eventuali impurità e poi si tagliano a piccoli pezzi. In una casseruola capiente, si scalda l’olio (o lo strutto) e si soffrigge la cipolla tritata finemente insieme agli spicchi d’aglio interi, che possono essere rimossi successivamente. Dopodichè si aggiungono le foglie di alloro e il peperoncino, lasciando insaporire per qualche minuto.

Unire poi le frattaglie e farle rosolare a fuoco vivace, mescolando frequentemente. Sfumare con un bicchiere di vino rosso e lasciare evaporare l’alcol. Incorporare il concentrato di pomodoro e, a piacere, anche l'estratto di peperoni per donare più colore e sapore, mescolare bene e cuocere a fuoco lento per 2 ore circa. Aggiustare di sale a fine della cottura. Infine servire il soffritto caldo, accompagnandolo con pane casereccio tostato o utilizzandolo come condimento per la pasta.

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Annamaria Parlato 27/04/2024

Violetto e Pignatella, i carciofi di Castellammare e dell'Agro Nocerino-Sarnese

Il carciofo di Castellammare, chiamato anche “violetto” o “carciofo di Schito”, si presenta come privo di spine, tenerissimo, con le foglie esterne che vanno a degradare dal rosa al viola, con grandi infiorescenze rotonde. La sua origine affonda le radici nell’epoca romana: una frazione di Castellammare di Stabia, Schito, era considerata al tempo particolarmente vocata all’orticoltura. Prova ne è che la zona, non lontana da Pompei, era identificata con il toponimo “orti di Schito”. Questo carciofo ha una maturazione molto precoce, infatti si raccoglie nel periodo compreso tra febbraio e maggio, anche se a marzo iniziano a spuntare le cosiddette “mammarelle”, ossia i capolini centrali. In epoca borbonica, era soprannominato “primaticcio”, come si evince da svariati manuali di agricoltura.

Il carciofo Pignatella assume questo buffa denominazione per la particolare tecnica di coltivazione. E’ tipico dell’Agro Nocerino-Sarnese e dell’area vesuviana. La “pignatella” è un recipiente di terracotta, simile ad una tazza senza il manico, che si utilizza come copri-capolino, dal momento della sua nascita sino alla raccolta, per proteggerlo dai violenti raggi del sole e dagli agenti atmosferici. Questa tecnica è descritta perfino da Plinio il Vecchio nei suoi scritti ed era in voga nell’antica Pompei. La coltivazione di questo carciofo è spesso a conduzione familiare, ricopre un arco temporale che va da marzo sino alla prima decade di giugno.

Nel periodo pasquale, questo carciofo assume delle fantastiche sfumature violaceo-rossastre e le brattee diventano particolarmente tenere. Con i piccoli capolini si producono meravigliosi sott'oli, mentre tutto il carciofo si presta per la preparazione di parmigiane, carpacci o per essere arrostito. Ha un legame forte con la tradizione della Pasqua, che normalmente coincide con il periodo centrale della produzione. In particolare, il carciofo arrostito sulla brace è il piatto simbolo del sabato santo e del lunedì di Pasquetta di tutte le famiglie del territorio. Si usa il carciofo intero, posto direttamente nella brace di una fornacella o camino. Quando è cotto (dopo circa mezz’ora), viene ripulito delle foglie bruciacchiate, condito con sale, pepe, prezzemolo, aglio fresco e olio, poi adagiato su una fetta di pane casereccio e consumato in abbinamento agli insaccati della tradizione contadina (in particolare dei Monti Lattari): salame, soppressata e salsiccia secca.

Le altre varietà campane

Il carciofo di Procida, la più piccola delle isole del Golfo di Napoli, è del tipo romanesco, con capolini primari globosi e grossi di colore verde chiaro e con capolini secondari di color viola e di dimensioni inferiori. La pianta è robusta ed è capace di produrre capolini anche del terzo, quarto e quinto ordine. La tradizione vuole che i capolini del secondo ordine, secondo una ricetta tradizionale, siano utilizzati per la preparazione di vasetti di sott'oli. I capolini vengono sbollentati in acqua, aceto di vino bianco e sale, e poi conditi con olio extravergine, aglio, origano e peperoncino.

Il Carciofo di Paestum, o “tondo di Paestum”, ha forma subsferica, aroma delicato e straordinarie proprietà nutrizionali. I capolini sono molto compatti, le spine sono assenti e la precocità della maturazione lo rendono unico, tanto da caratterizzare, con le enormi distese, il paesaggio della Piana del Sele. La maturazione precoce poi lo rende competitivo nei mercati ortofrutticoli, in quanto può esser venduto per primo, rispetto alle varietà romanesche. Ha proprietà benefiche e disintossicanti, dovute al suo contenuto in sali e vitamine. E’ tra gli ingredienti più usati nella cucina cilentana, lo si trova in delicate creme, ideale condimento per la pasta fatta a mano, sulle pizze e nei rustici.

A Pertosa, in provincia di Salerno, il carciofo in dialetto si chiama “carcioffola”. La produzione del carciofo bianco va da maggio a giugno, sino alla raccolta degli esemplari più piccoli, che vengono impiegati nella preparazione di conserve. Non ha spine, è rotondo e ha un colore particolarissimo, tendente all’argento, le infiorescenze sono forate al centro. La lavorazione è manuale e a conduzione familiare, in terreni di piccole dimensioni. Anticamente, le foglie di questo carciofo erano considerate merce di scambio, poiché si capì che potevano essere un ottimo integratore nella dieta delle mucche da latte. Quindi, gli orticoltori di Pertosa, in cambio di letame, usato come concime, le cedevano agli allevatori.

Intorno al 1840, nella cittadina di Pietrelcina, in provincia di Benevento, un prefetto originario di Bari introdusse la coltivazione del carciofo. Ancora oggi si richiede un lavoro umano notevole per la sua produzione, che in genere avviene in piccoli appezzamenti di terra. In estate si tagliano gli steli, in autunno c’è la cosiddetta “scarducciatura”, ossia l’eliminazione dei germogli superflui, che viene ripetuta anche in primavera, quando i cardi appena estirpati vengono adagiati sulle infiorescenze immature, per preservarle dal calore dei raggi solari. A maggio, ogni anno nel paese si celebra una tradizionale sagra.

Il nome Capuanella è un vezzeggiativo e deriva appunto dalla città di Capua, in provincia di Caserta, zona rinomata per la produzione di quest’ortaggio. Il carciofo Capuanella in genere si presenta di colore verde scuro, matura tra fine marzo ed inizio aprile ed è ricco di proprietà organolettiche. Appartenente alla famiglia dei carciofi romaneschi, ha foglie molto fitte e raccolte. E’ rinomato per esser tenero e per esser degustato arrostito, in occasione delle feste.

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Redazione Sarno 24 23/05/2024

Dal 24 al 26 maggio a Pagani torna l'International Street Food

Il Sindaco De Prisco, insieme all'assessore al commercio, Pietro Sessa, ha fortemente voluto anche quest'anno a Pagani la manifestazione di cibo internazionale più famosa d'Italia, dopo il grande successo del 2023. L'International Street Food è in programma da venerdì 24 a domenica 26 maggio in Arena Pignataro. Sabato e domenica gli stand saranno aperti anche a pranzo, a partire dalle 12:00. Ingresso gratuito.

ORARI: 24 maggio dalle 18:00 alle 24:00, 25-26 maggio dalle 12:00 alle 24:00

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