Pompei, dedicato all'oste più famoso dell'antichità il menù di "Caupona"

Il menù di Vetuzio Placido sarà disponibile presso l’archeo-ristorante per tre mesi

Redazione Sarno 24 05/07/2024 0

Le pietanze che si servivano duemila anni fa nel Termopolio di Vetutius Placidus, uno dei più celebri della città sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C., ritrovano consistenza, profumo e, soprattutto, sapore nel nuovo menù che l’archeo-ristorante “Caupona” di Pompei ha dedicato all’oste più famoso dell’antichità. Le nuove portate del menù di Vetuzio Placido, cinque in tutto, si ispirano infatti alla vita di questa figura di spicco della società pompeiana dell’epoca, che insieme alla moglie Ascula gestiva una caupona (un’osteria), strategicamente posizionata su via dell’Abbondanza.

I loro nomi compaiono in manifesti elettorali e su diversi manufatti in terracotta, a sottolineare la loro rilevante posizione sociale. D’altra parte anche la loro caupona è un ottimo esempio di mobilità sociale nell'antica Pompei, a dimostrazione che commercianti ed artigiani godevano di uno status elevato. In questo locale si servivano bevande e cibi caldi conservati in grandi giare incassate nel bancone di mescita in muratura, riccamente decorato. Adiacente alla zona pranzo, un triclinio (sala da pranzo) ben arredato permetteva agli ospiti di gustare i pasti in un ambiente più formale, completo di posti a sedere e decorazioni elaborate.

Le portate inserite nel menù dedicato all’antico oste pompeiano sono state ricostruite grazie al lavoro dello studioso Francesco Di Martino, patron dell’archeo-ristorante Caupona, con la collaborazione di archeologi e storici. La preparazione dei piatti, invece, è stata affidata agli executive chef Aldo Nappo, Vincenzo Russo e Giuseppe Cassaro, che hanno combinato competenze storiche e culinarie.

Ecco cosa prevede il menù. Gustatio con crostone con ricotta di pecora, miele e mandorle. Promulsis con pastinache arrosto con miele, aceto e filetti di merluzzo con olive, lupini e ceci su salsa all’albicocca con pepe e zenzero. La Prima Mensa è farro e orzo con zucchine all’Apicio, menta, alici marinate al timo e garum. Si prosegue con la Secunda Mensa: sogliola aromatizzata con spezie antiche con insalatina di rucola, mela, cetrioli e uva. Infine la Crustula con patina de piris: torta di pere cotte con miele e cannella.

Il menù di Vetuzio Placido sarà disponibile presso l’archeo-ristorante “Caupona” di Pompei per tre mesi.

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Redazione Sarno 24 09/01/2025

Iniziato "l'anno del km zero", a Castellammare il calendario Foodyear 25
L’origine dell’espressione “chilometro zero”, l’importanza di acquistare prodotti locali, il rispetto della stagionalità degli ingredienti, lo sguardo all’ambiente: sono alcuni dei temi emersi dagli interventi della presentazione di Foodyear 2025, sabato 4 gennaio nella sala eventi dello Yacht Club Marina di Stabia, a Castellammare. Da un’idea del fotoreporter Gianni Cesariello, il prodotto editoriale è nato anche grazie alla collaborazione della giornalista Ilaria Cotarella e di Marco Pirollo, giornalista e direttore di Madeinpompei.it. L’incontro si è aperto con i saluti di Marco Dimiccoli, direttore dello Yacht Club di Marina di Stabia, che si è dichiarato entusiasta del progetto. "La seconda edizione di questo calendario - afferma Cesariello - è dedicata alla sostenibilità. In alcune foto gli chef espongono prodotti a chilometro zero, così come molte delle aziende sponsor lavorano a chilometro zero". Tra gli interventi, quello di Rosario Lopa, portavoce della Consulta Nazionale per l’Agricoltura: "Questo calendario ha fatto una scelta tematica adeguata, promuovere la sostenibilità. Si fa riferimento alle realtà del territorio che producono e trasformano, mettendo i consumatori finali nelle condizioni di assaggiare, gustare e sentire i profumi dei prodotti a chilometro zero. Dal produttore al consumatore attraverso un calendario che promuove l’enogastronomia del territorio".
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Annamaria Parlato 28/07/2025

L'albicocca vesuviana: oro dolce tra area vulcanica, Agro e Pompei
La pellecchiella del Vesuvio a Presidio Slow Food, o albicocca vesuviana, è un frutto antico e prelibato, cresciuto e maturato nelle soleggiate terre vulcaniche della Campania, oggi giustamente vanto regionale e protagonista riconosciuta del Presidio Slow Food. In dialetto sono dette “crisommole”, un termine affascinante che richiama l’etimologia greca alessandrina e sottolinea il legame millenario tra Mediterraneo e cultura contadina. L’albicocco, originario dell’Asia centrale e appartenente alla famiglia delle Rosacee, ha trovato nel suolo vesuviano e nelle fertili pianure dell’Agro Nocerino-Sarnese un habitat ideale. La Campania detiene il primato nazionale per la produzione e l’esportazione di albicocche, con una media annua di 50-60mila tonnellate coltivate in particolare nel territorio di Sant’Anastasia, noto anche per la presenza del miracoloso Santuario della Madonna dell’Arco, meta del tradizionale pellegrinaggio dei fujenti battenti nel lunedì in albis. La maturazione delle albicocche vesuviane avviene a partire da metà giugno e le varietà note sono più di quaranta, spesso identificate con nomi dialettali come Boccuccia liscia, S. Castrese, Palummella, Boccuccia spinosa, Fracasso, Vitillo, Portici, Ceccona. La più nota tra queste è la Pellecchiella, che si distingue per la buccia vellutata, il colore dorato con sfumature rosse e la polpa dolce, carnosa e poco amarognola, ideale per la trasformazione in confetture, nettari, liquori e frutta sciroppata. Le albicocche vesuviane sono anche citate da Gian Battista Della Porta nel 1583 nella sua opera “Suae Villae Pomarium” con i termini “bericocche” o “crisomele”; e ancora nel 1845 in “Breve ragguaglio dell’Agricoltura e Pastorizia del Regno di Napoli” come una delle piante più diffuse nel territorio napoletano dopo il fico. Oggi la coltivazione si è estesa anche nei territori dell’Agro Nocerino-Sarnese, in comuni come San Marzano, Pagani, Scafati, Angri e Nocera Superiore, dove il microclima, la ricchezza d’acqua e la tradizione frutticola rendono questa zona complementare e strategica per la produzione. Anche a Pompei, accanto agli scavi e ai vigneti, le albicocche vesuviane vengono coltivate in piccoli appezzamenti, spesso tramandati da generazioni. E proprio a Pompei, qualche anno prima della catastrofica eruzione del 79 d.C., vennero importate dall’Oriente nuove specie fruttifere tra cui il ciliegio, l’albicocco e il pesco. Gli ortaggi venivano conservati in salamoia o in aceto per affrontare l’inverno, mentre la frutta – tra cui le albicocche – si essiccava al sole o si immergeva nel miele, un metodo di conservazione che ne esaltava il profumo e la dolcezza. Il frutto si presenta carnoso e molto profumato, con buccia vellutata e un nocciolo ovale che racchiude un seme a mandorla. Ricco di potassio e carotene, favorisce l’abbronzatura e contribuisce all’apporto di vitamine A e C, rivelandosi ideale per l’idratazione nei mesi caldi. In cucina le albicocche vesuviane sono protagoniste di una straordinaria varietà di preparazioni dolci e salate: dalle classiche crostate con confettura artigianale ai biscotti farciti, fino alla cassata rustica e ai cornetti da colazione. Ma trovano spazio anche in piatti salati: abbinate a formaggi stagionati come pecorino o caciocavallo, alla pizza oppure trasformate in salse agrodolci per carni bianche o selvaggina. Alcuni chef le utilizzano in riduzioni per pesce, in emulsioni per tartare o come ripieno creativo per ravioli vegetariani. Per la qualità del frutto, e per i metodi di coltivazione ancora in gran parte manuali e tradizionali, è stata avviata la richiesta per il riconoscimento comunitario del marchio IGP. Una ricetta semplice, adatta ai bambini e perfetta nelle giornate di mare è quella delle merendine con confettura di albicocche vesuviane e cioccolato bianco: si prepara un soffice pan di Spagna, si taglia in piccoli rettangoli, si bagna leggermente con acqua e zucchero, si farcisce con marmellata di albicocche, si chiude come un tramezzino e si decora con cioccolato bianco fuso a bagnomaria con un po’ di latte. Una merenda fresca, priva di conservanti, che profuma d’infanzia e d’estate, ideale sotto l’ombrellone, quando le madri inseguivano i figli sulla sabbia per far mangiare qualcosa tra un tuffo e l’altro. L’albicocca vesuviana è un simbolo di identità, memoria e sapienza contadina, un patrimonio da proteggere con orgoglio e da raccontare con amore.
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Annamaria Parlato 14/02/2025

San Valentino Torio, polpette di carote per la festa degli innamorati
San Valentino Torio, piccolo comune dell'Agro nocerino-sarnese, porta nel suo nome il legame con il santo degli innamorati. San Valentino, vescovo di Terni, vissuto nel III secolo d.C., è noto per essere il protettore degli innamorati. Secondo la leggenda, benedisse l'unione tra una giovane cristiana e un legionario pagano, sfidando le rigide leggi dell'epoca. Il suo martirio avvenne il 14 febbraio del 273 d.C., data in cui oggi si celebra la festa dell'amore in tutto il mondo. La cittadina invece, ad economia prevalentemente agricola, assunse la denominazione attuale solo nel 1863, quando, per Decreto Regio del 22 gennaio, le si diede l’appellativo Torio per distinguerlo da San Valentino in Abruzzo Citeriore. E’ dal 1963 che a San Valentino Torio viene custodita gelosamente una reliquia del Santo di Terni (braccio destro) in una teca d’argento del XVI, donata dai duchi Capece Minutolo alla chiesa di San Giacomo, ubicata proprio nel centro cittadino. La Festa degli innamorati venne istituita nel 496 da Papa Gelasio, per abolire il rito pagano delle “Lupercalia”, che si svolgeva in onore del dio Fauno (in latino Lupercus), protettore del gregge ovino e caprino dall'attacco dei lupi. L’accezione romantico-cortese della festa si ebbe nel Medioevo, forse grazie al circolo dei letterati che ruotavano attorno al poeta-scrittore Geoffrey Chauer. Alla fine del VII secolo, ai monaci benedettini venne affidata la custodia della Basilica di San Valentino da Terni e quindi la festività si diffuse nei monasteri soprattutto tra Francia e Gran Bretagna. Solo nel XIX secolo si è avuta una commercializzazione ed industrializzazione della Festa, con la produzione di gadget e dei famosissimi biglietti d’auguri, nelle più svariate forme, i cosiddetti valentine. Ritornando al Comune della provincia di Salerno, il 15-16 febbraio, in Piazza Spera, ritornerà la famosa "Sagra d'a purpetta 'e Pastenaca" (42esima edizione), cioè delle polpette di carota, preparate perfino nella versione senza glutine e senza lattosio, per coloro i quali avessero intolleranze alimentari. L’Azione Cattolica della parrocchia di San Giacomo Maggiore Apostolo, nei giorni della festa del patrono, offrirà ai cittadini di San Valentino e dei paesi limitrofi la possibilità di degustare questa prelibatezza della tradizione gastronomica. La ricetta è antica e fu donata dalla sig.ra Ida Rosa. Tra le molteplici eccellenze del settore agricolo, come i cipollotti o i pomodori San Marzano, la carota cresce in maniera spontanea nei terreni di San Valentino Torio, ricca di proprietà benefiche per l’organismo, come le vitamine C, D, E, B2, B6 e i sali minerali. Si suggerisce qui la ricetta delle gustosissime polpettine, per chi volesse cimentarsi a rifarle in casa, magari presentandole come secondo piatto per il menù della Festa di San Valentino. Ingredienti per 8/10 persone: 1kg di carote dell’Agro nocerino-sarnese, 1kg di pane del tipo cafone napoletano, 6 uova, gr 300 di Pecorino Romano grattugiato, prezzemolo, pepe e sale q.b. Esecuzione: il giorno prima di preparare le polpette, lessate le carote. Una volta fatto, si lasciano in un colapasta fino al giorno dopo per farle asciugare, privandole dell’acqua. In una ciotola di vetro, unite le carote (tritate o sminuzzate) alla mollica di pane non bagnata, alle uova, al formaggio pecorino, al pepe, al sale e al prezzemolo. Impastate e formate delle polpette di media grandezza. Friggetele in olio abbondante, tamponatele su carta assorbente e servitele calde. In abbinamento a questo piatto si consiglia un vino di origini siciliane, come l’Etna bianco, dal sapore fresco e secco, con una gradazione di 11,5%, o un Muller Thurgau, di origine trentina, dal sapore asciutto e fruttato, con una gradazione di 11%. San Valentino Torio, con la sua storia e le sue tradizioni, dimostra che l’amore non passa solo attraverso le parole, ma anche attraverso i sapori che raccontano una terra e la sua gente. Le polpette di carota sono un piccolo tesoro gastronomico che merita di essere riscoperto e celebrato, oggi come ieri.
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