Castel San Giorgio, Gaetano Cataldo racconta il vino come un'opera d'arte

Dalle cantine al Senato, passando per sake e Mediterraneo: storie e premi di un ambasciatore del gusto

Annamaria Parlato 28/05/2025 0

Nel panorama enologico contemporaneo, la figura del sommelier ha superato i confini della sala e della carta dei vini. Non è più solo colui che serve e consiglia, ma un interprete del gusto, un divulgatore, un ricercatore culturale. Deve conoscere territori, vitigni, linguaggi, abbinamenti, tecniche di fermentazione, ma anche saper comunicare attraverso storie, emozioni e contaminazioni. Oggi il sommelier si trova a dover decifrare un mondo sempre più stratificato, il vino è bevanda e simbolo identitario, sociale, talvolta spirituale.

In questo contesto, il profilo di Gaetano Cataldo, originario di Castel San Giorgio, spicca per originalità e visione. Navigatore per mestiere, sommelier per passione, divulgatore per vocazione, ha costruito un dialogo tra il mare e il vino che non è solo tecnico, ma culturale e umano. Ha fondato Identità Mediterranea nel 2016, piccola associazione culturale con la quale ha creato, assieme a Roberto Cipresso, il famoso “Mosaico per Procida”, prima bottiglia a celebrare una capitale italiana della cultura. Nel 2022 ha ricevuto il Premio come Miglior Sommelier dell’anno al Merano Wine Festival (31^ edizione), prestigioso riconoscimento che ha premiato non solo la sua competenza tecnica, ma anche la sua capacità di unire enologia, mare e cultura in un linguaggio originale e profondo.

Ha tenuto lezioni e conferenze in Italia e all’estero sul tema del vino come veicolo di dialogo interculturale e nel maggio 2025, ha ricevuto al Senato (Sala Zuccari) il riconoscimento speciale al merito dalla commissione del Gran Premio Internazionale di Venezia. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua traiettoria unica e le esperienze che lo hanno reso una voce autorevole e inconfondibile nel panorama vitivinicolo italiano.

Nel tuo curriculum si intrecciano il mare e il vino: in che modo l’esperienza da navigante ha influenzato il tuo approccio alla degustazione e alla narrazione del vino?

In effetti ho condotto, quasi in parallelo, due vite professionali, diventando ufficiale di navigazione e corroborando le mie skills di sommelier. Molti tendono a vedere slegati i due aspetti, ma in realtà i viaggi attorno al mondo mi hanno messo in condizione di visitare cantine altrimenti irraggiungibili per me all'epoca, di assaggiare vini di ogni continente sul posto e spedirli a casa. Ho scoperto, sperimentato e memorizzato profumi e sapori di cucine lontane, cercando sempre di completare la mia esperienza di visitatore e di sensorialista: si possono visitare tutti i musei e le attrazioni turistiche di un Paese, ma se non si mangia e si beve come fanno i locali, non solo non si entrerà nella loro mentalità e nel loro quotidiano, ma si sarà conosciuto un luogo per metà.

Il mare è stato per me una palestra di vita e l'opportunità di conoscere e apprezzare differenze e sfumature di umanità, culture, alimentazione ed enologia. Non sono stati forse i navigatori ancestrali a redistribuire il dna della vite, a globalizzare il marketing del vino ed esportare conoscenza da luoghi lontani? Cosa ne sarebbe stato del Marsala senza gli Inglesi e come sarebbe stato inventato il Madera?

Sei stato un pioniere nell’esplorare la relazione tra il mare e il vino ben prima dell’hype dell’underwaterwine: cosa significa per te questa connessione e cosa la distingue dal marketing di tendenza?

Il 1 settembre 2011, su Mediterranea Online, usciva "Il Vino e il Mare", dove effettivamente parlavo della profonda relazione tra i due elementi a 360°, motivato anche a dare una risposta alle mie due categorie di appartenenza, i marittimi e i sommelier, riguardo alla coesistenza del vino e del mare, nella mia vita professionale, oltre che come passioni inscindibili. È stato decisamente uno tra i pezzi più fortunati che abbia scritto, anche perché ripubblicato su Vinoway nello stesso anno e, oltretutto, nel 2014 sarebbe stato pubblicato su "Vitae", rivista ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier, su richiesta dell'allora presidente nazionale Antonello Maietta. Quest'ultima fu una sorta di consacrazione come wine writer.

Ovviamente, in maniera sottintesa, nel pezzo si parlava di cantinamento e affinamento subacqueo, oltre che di ritrovamenti straordinari, avvenuti sui fondali, e che restituivano alla luce vini perfettamente intatti, prodotti dai Romani secoli prima, grazie alle attività di archeologia marina. Al di là delle tendenze del marketing, il pezzo voleva rimarcare quanto il mare fosse oggettivamente la cantina perfetta. Si deve considerare che la temperatura e l'umidità costanti e l'assenza di luce a certe profondità sono le condizioni ideali per una maturazione lenta e regolare.

Inoltre è bene anche considerare che la pressione che la colonna d'acqua esercita sulle bottiglie immerse favorisce la solubilità dei composti aromatici e, nel caso di spumantizzati, ne migliora il perlage. Oggi la pratica del cantinamento subaqueo è per certi versi inflazionata e rischia di apparire tale anche quando produce i suoi effetti sul vino: occorre sempre ancorare gli "underwater wines" a solide motivazioni di tipo culturale e usarlo come opportunità per studiare il comportamento di specifici vini monovarietali che vi vengono sottoposti.

Hai assaggiato vini in ogni parte del mondo: c’è un sorso che ti ha fatto capire che il vino è molto più di una bevanda?

Si, tutte le volte che con l'equipaggio ci siamo riuniti attorno a una bottiglia di vino per semplice allegria, piuttosto che contestualizzarne il sapore attraverso la cultura del Paese di origine o per scoprire come ci stava su una data ricetta, provandolo poi con numerose altre. Il vino pertanto è molto più di una bevanda, a partire dal confronto che si crea attorno a esso; un confronto tra colleghi, amici e specialisti del settore: la platea trasversale di pubblico internazionale con cui si ha a che fare quando si lavora su navi da crociera ha dell'incredibile e, per me, ha costituito senz'altro un booster esperienziale decisivo per il mestiere di sommelier.

In un sorso di vino ci si può perdere, tanto è la complessità, ci si può ritrovare, in quanto è capace di riaccordare l'animo e farci fare pace col mondo. Un sorso di vino è cultura, calore familiare, eleganza contadina, erudizione comunicativa, evocazione paesaggistica e molto di più. Ai sorsi ho mescolato i luoghi che me li ricordano, quindi cito questi ultimi con affetto e in ordine sparso: Atene, Izmir, Alessandria d'Egitto, Port Said, Mandelieu-la-Napoule, Barcellona, Fira, Singapore, Callao, Dublino, New Orleans, Vitória, Richard's Bay, Murmansk, Manila, Venezia, La Coruña, Baton Rouge, Kashima, Milazzo, Juneau, Istambul, Kotor, Cabo San Lucas, Dublino. Ma nella "cantina dei ricordi" c'è molto altro che lega il sorso al viaggio.

Con Identità Mediterranea hai intrecciato cultura, spiritualità e gusto, arrivando a consegnare il "Mosaico per Procida" anche nelle mani di Papa Francesco. Quale ricordo personale ti lega a quel momento e cosa hai visto negli occhi di un pontefice che oggi non c’è più?

Identità Mediterranea è diventata ormai come una figlia, la fondai nel 2016 e grazie a questa associazione abbiamo fatto cose incredibili e sempre, è proprio il caso di dirlo, nella maniera più francescana possibile: mostre, annulli filatelici, convegni, serate di degustazione, formazione e wine tour, non ultimo l'esperienza di aver ideato, con l'amico Roberto Cipresso, "Mosaico per Procida", primo vino in assoluto a celebrare una capitale italiana della cultura. Il ricordo del 28 settembre 2022 (foto in fondo all'articolo, ndr) è decisamente molto vivo in me: l'occasione di portare la bottiglia celebrativa a Sua Santità è stata un'esperienza di grande impatto emotivo.

A nome dell'Isola di Arturo portai un formato magnum di Mosaico per Procida, diventando di fatto il primo sommelier, fuori dalle mura vaticane, a essere ricevuto da un Pontefice durante un'udienza generale; oltre ad essa anche una serigrafia acquerellata a mano, effigiante "inCanto diVino" di Carolina Albano, da cui è nata l'etichetta del Mosaico. Ricordo che Papa Francesco esclamò "un vino, che bello! Che bella bottiglia!", con la voce mite e il tono affettuoso di chi dispensa caramelle a un bambino, con uno sguardo curioso e quasi fanciullesco. Dopo avergli illustrato i motivi del dono e il progetto, mi accomiatai citando rispettosamente il Nolano: non è la materia a generare il Pensiero, ma il Pensiero a generare la materia. E questo perché Mosaico per Procida è stato appunto un progetto tanto eversivo quanto francescano, perchè fatto senza scopo di lucro e controcorrente.

Sei stato il primo a teorizzare il legame tra sake e Dieta Mediterranea: cosa ti ha spinto a esplorare questa frontiera e quali connessioni hai scoperto tra le due culture?

Mi piace sempre esordire, a proposito di sake, dicendo che Dioniso è stato anche in Giappone. La mia generazione è cresciuta guardando i cartoni giapponesi, ho sempre avuto una passione per le arti marziali e per la cultura dell'Estremo Oriente, anche a partire dalla lettura del "Libro dei Cinque Anelli" di Miyamoto Musashi. I primi viaggi in Giappone, tra il 2001 e il 2002, quando imbarcavo sulle navi da carico, non hanno fatto altro che confermare la forte passione per questo Paese, anche se ero a digiuno, o quasi, di ciò che so oggi sul sake giapponese.

Posso dire anzitutto che Italia e Giappone sono imbrigliati pressoché nella stessa fascia di latitudine, hanno un periplo costiero molto rilevante, oltre ad essere Paesi sismici e vulcanici. Entrambe le culture, anche se quella nipponica in maniera più riservata, sono solite dare il benvenuto a tavola ed hanno un legame stretto con il cibo. Ho cominciato a studiare sake verso il 2015 e a berlo un po' prima, diventando sake sommelier nel 2017 con la Sake Sommelier Association, eravamo pochissimi in Italia all'epoca. Fino ad oggi ho anche fatto docenze per la Scuola Italiana Sake e contributo per tutte e quattro le edizioni ai "Sake Days" che si tengono in ottobre a Firenze; inoltre ho tenuto ben 3 relazioni per alcune delegazioni dell'AIS, tra Salerno e Bologna, accendendo il tema giù da noi e farci serata, in maniera inedita, al Wip Burger & Pizza di Nocera Inferiore, dimostrandone le possibilità di abbinamento con la tonda mediterranea.

Infatti ho esperito molto attraverso assaggi di ricette e prodotti appartenenti al nostro modello alimentare con il fermentato di riso, con ottimi risultati, e arrivando a scrivere diversi articoli in cui tratto appunto il match con pizza, salumi, formaggi e ostriche. Senza dilungarmi troppo posso affermare serenamente che sake e Dieta Mediterranea stanno bene insieme perché gli ingredienti delle nostre rispettive cucine sono omologhi, benché diversi, e presentano in molti casi il fattore umami, che è la principale chiave di volta per procedere nell'abbinamento.

Il titolo di “miglior sommelier dell’anno” al Merano Wine Festival nel 2022 è stato un riconoscimento importante a livello nazionale: ma viene davvero apprezzato nel tuo territorio, a Castel San Giorgio? Ti senti valorizzato a casa tua?

Devo dire che c'è stata una certa avidità di inchiostro da parte di gente che pretenderebbe di ritrarre territori e fare comunicazione, ma sappiamo bene quanto sia fazioso e scadente il giornalismo nelle nostre aree, specie quello enogastronomico, e quanto rappresenti una sorta di propaganda "motu proprio"; poi, vallo a capire perché taluni si reputano pure enogastronomi e provetti assaggiatori. Il punto non è questo però, sappiamo cosa diceva Totò a proposito del fatto che questa terra non ci perdona il successo, e inoltre bisogna sopportare umanamente invidie, gioie e dolori; il fatto è che quando omettiamo di raccontare certe cose ne muore il territorio stesso, ne fa le spese perché non abbiamo riportato quell'esempio valido che potrebbe ispirare altre persone a fare qualcosa di utile per questo nostro Agro Nocerino-Sarnese e per la Campania in generale.

Ci tocca continuare a tirare l'aratro e non pensarci: c'è tanto ancora da fare qui e una buona semina deve poterne uscire fuori, il resto è sotto il naso di tutti, il vento non lo fermi e i circoletti degli amici degli amici cominciano a sapere di stantio e di retrogrado. A Castel San Giorgio in particolare devo dire che, tralasciando i giornalini e rispetto al "Nemo Propheta in Patria", c'è stata una inversione di tendenza: l'amministrazione comunale si è sempre ben spesa verso me, non sono mancati i riconoscimenti e le attestazioni di stima. Magari un giorno finisce che mi si inviti pure alla "Notte del Rosso".

Qualcuno dovrebbe poter capire che fare rete e gioco di squadra è fondamentale oggi, se vogliamo appunto far rinascere i nostri territori senza personalismi. Ciò che mi tengo stretto e che mi giova al cuore è che tutti i miei concittadini e amici mi vogliono un gran bene e non perdono occasione di complimentarsi con me per le mie attività, facendomi puntualmente arrossire: in fondo, chi mi conosce sa che sono da sempre il ragazzo della porta accanto e che non mi sono mai montato la testa. Evidentemente il vero successo è proprio questo: avere l'affetto delle persone vicino a te e che, avendoti visto crescere, ti accettano con tutti i pregi e i difetti.

Se dovessi stappare una bottiglia che ti rappresenta oggi, quale sceglieresti e con chi vorresti condividerla, magari in riva al mare?

Al di fuori di Mosaico per Procida, cui debbo mille fantastiche avventure, il vino che più mi rappresenta è quel rosso che richiede tempo per smussare le spigolature del proprio carattere e l'irruenza giovanile, insomma un vino che, bevuto di anno in anno, dimostra di migliorare con il tempo. Certo, sarebbe un peccato non bere in compagnia, anche perché di amici vecchi e nuovi, sempre pronti ai falò estivi e a incrociare i calici, certo non ne mancano. Ma chi può dirsi veramente solo con una buona bottiglia di fronte al mare? Detto ciò, a parte gli appuntamenti con i propri pensieri, la vita è bellissima e piena di sorprese, sempre pronta a riservarci incontri speciali.

Cataldo è un sommelier che ha navigato davvero, dentro e fuori dal bicchiere. Le sue parole restituiscono una visione ampia, colta e poetica del vino. Un vino che attraversa mari, si mescola alle culture, dialoga con il presente e guarda al futuro senza perdere le radici. Un vino che racconta la vita, come le rotte che ha tracciato in giro per il mondo. Perché, in fondo, come dice lui, “la cosa più bella è condividere una storia. E un sorso di verità”.

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Annamaria Parlato 30/05/2024

Paese che vai, tradizione che trovi: a Sant'Egidio spicca il fusillo

Il fusillo è un tipo di pasta tradizionale italiana, caratterizzato dalla sua forma a spirale o elicoidale. La sua storia è affascinante e si intreccia con la tradizione e la cultura gastronomica italiana. Il nome deriva dal termine italiano "fuso", uno strumento utilizzato in passato per filare la lana. La forma a spirale del fusillo ricorda, infatti, il movimento del filo intorno al fuso. Questa connessione etimologica riflette l'antica tradizione artigianale legata alla produzione della pasta. L'origine dei fusilli risale probabilmente a secoli fa, quando la pasta era fatta a mano nelle case delle famiglie italiane. Le donne utilizzavano un ferro da maglia o un bastoncino per avvolgere piccole porzioni di pasta fresca, creando la caratteristica forma a voluta.

Questo formato è originario del Mezzogiorno, in particolare della Campania, Calabria e Sicilia. Ogni regione e persino ogni famiglia poteva avere la propria variante e metodo di preparazione. Tradizionalmente, i fusilli venivano fatti a mano, avvolgendo la pasta fresca attorno a un ferro sottile (ferretto) e poi facendola rotolare per creare la forma tipica. Questo processo artigianale richiedeva abilità e pazienza, e veniva tramandato di generazione in generazione.

Esistono diverse varianti di fusilli, tra cui i fusilli corti e quelli lunghi (fusilli lunghi bucati). I fusilli corti sono più comuni e versatili, mentre i lunghi vengono spesso utilizzati in preparazioni regionali specifiche. Grazie alla loro forma sono ideali per trattenere i sughi, rendendoli perfetti per una vasta gamma di piatti. Si sposano bene con sughi densi, come ragù di carne, pesto, salse a base di pomodoro e formaggi. Il fusillo è una pasta che non solo rappresenta un alimento base della cucina italiana, ma incarna anche una ricca storia di tradizione e artigianalità. Oggi, il fusillo continua a essere amato e apprezzato sia in Italia che nel resto del mondo, come simbolo della creatività e della passione italiana per la buona cucina.

Il fusillo sangiliano è una variante specifica del fusillo tradizionale, legata alla cultura gastronomica di Sant’Egidio del Monte Albino. Le donne del paese, in particolare, sono state custodi di questa tradizione, preparando la pasta a mano durante le festività e le occasioni speciali. La pasta ha una consistenza ruvida, che permette di trattenere meglio i sughi, l'impasto è fatto con semola di grano duro, acqua e uova fresche. La tecnica tradizionale prevede che pezzi di impasto vengano avvolti attorno a un ferretto, arrotolati e poi sfilati anche se lasciati lunghi. Questa tecnica richiede abilità e pratica, ed è spesso considerata un'arte.

Dopo la formatura, i fusilli possono essere lasciati ad asciugare all'aria per un periodo di tempo, variabile a seconda delle condizioni climatiche e della tradizione locale. Si narra che questo tipo di pasta ricordi i riccioli biondi di un valoroso e nobile soldato, di cui una donna del luogo si era perdutamente ed inutilmente innamorata. Carolina Campitelli e la sua famiglia (ben quattro generazioni) sono interpreti appassionati e custodi tenaci di questa consuetudine. Nel laboratorio con annesso punto vendita “Come Tradizione”, nei pressi del centro storico, hanno avviato un progetto che si sta rivelando vincente e convincente. Tagliolini, altro formato tipico di Sant’Egidio, pappardelle, ravioli, ogni tipologia è realizzata con meticolosità e amore.

Raccontaci di te, come sei arrivata ad aprire un micro-pastificio?

Sin da bambina, ho sempre avuto una grande passione per la cucina, trasmessa dalla mia mamma e dalla mia nonna. Passavo ore a guardarle mentre preparavano la pasta fatta a mano, un rituale che mi ha affascinato e ispirato. A Sant'Egidio si è sempre usato preparare la pasta in casa, soprattutto fusilli e tagliolini. Con il tempo, ho deciso di trasformare questa passione in un vero e proprio lavoro. Ho aperto il micro-pastificio "Come Tradizione" per portare avanti e valorizzare le antiche tradizioni della nostra comunità. Siamo il primo negozio e laboratorio con produzione di fusilli certificato a Sant'Egidio e tra i pochi pastifici in Italia a lavorare la pasta a mano all'uovo. La nostra missione è mantenere viva l'arte della pasta fatta a mano, offrendo un prodotto autentico e di alta qualità.

Come riesci a portare avanti la tua azienda, in una realtà piccola di paese?

La chiave è il legame con la comunità. Mi impegno quotidianamente a mantenere viva la tradizione e la qualità dei nostri prodotti, utilizzando ingredienti da fornitori locali e tecniche artigianali tramandate di generazione in generazione. Inoltre, il supporto dei miei concittadini è fondamentale: loro credono nella mia attività e contribuiscono a diffondere la nostra pasta fatta a mano anche al di fuori del paese, arrivando oltre regione e, con grande soddisfazione, anche oltre i confini italiani.

Sant'Egidio ha una lunga tradizione per quanto riguarda la pasta fatta a mano. Tu cosa hai portato nella tua bottega?

Il rispetto per le antiche ricette, ma anche una visione fresca e innovativa. Oltre ai classici formati di pasta, come i fusilli e i tagliolini, offriamo varianti colorate e gustose, come quelle con spinaci, zucca, barbabietola e pomodoro. Ci divertiamo a sperimentare e a proporre sempre qualcosa di diverso. Ogni prodotto è realizzato con la massima cura e dedizione, per garantire un'esperienza autentica e indimenticabile.

Quali sono i formati di pasta più richiesti?

I nostri clienti apprezzano molto i fusilli sangiliani e i tagliolini all'uovo, che sono parte integrante della nostra tradizione. Ma anche i ravioli fatti a mano stanno riscuotendo un grande successo, grazie alle farciture gustose e genuine. Ogni formato di pasta ha il suo pubblico affezionato e siamo felici di soddisfare i gusti di tutti.

Come tradizione è solo pasta o si possono trovare anche altri prodotti tipici?

Oltre alla pasta, proponiamo altri prodotti tipici della zona. Tra questi, ci sono il pane casareccio, le conserve fatte in casa e marmellate artigianali, oltre all'ottimo vino delle cantine locali. Vogliamo offrire ai nostri clienti un'esperienza completa, che li faccia sentire parte della nostra cultura e delle nostre tradizioni culinarie.

Puoi parlarci del Progetto "Festa del Fusillo Sangiliano"?

E' un evento che stiamo organizzando per celebrare la nostra pasta fatta a mano e la tradizione che rappresenta. Sarà la prima edizione di una festa che durerà 4/5 giorni, coinvolgendo ristoranti locali e aziende produttrici del territorio. L'obiettivo è valorizzare il fusillo sangiliano, preparato in casa da generazioni, e far riscoprire a tutti il sapore autentico di questo prodotto unico.

Quanto si sta impegnando il Comune nella promozione del fusillo? O meglio, dal passato ad oggi quali avanzamenti ci sono stati?

Il Comune ha sempre sostenuto le tradizioni locali e negli ultimi anni ha intensificato gli sforzi per promuovere il fusillo sangiliano. Eventi e collaborazioni con produttori locali hanno contribuito a far conoscere questa eccellenza al di fuori dei confini del nostro paese. Grazie a queste iniziative, il fusillo sta vivendo una nuova primavera, attirando l'attenzione di appassionati e buongustai.

Tagliolini e fusilli sono più buoni con sughi di mare o terra? Ci suggeriresti una ricetta al volo?

Entrambi i formati si prestano a diverse interpretazioni, sia con sughi di mare che di terra. Personalmente, amo i tagliolini all'uovo con un sugo di vongole e limone, leggero e profumato. Per i fusilli, invece, consiglio un classico ragù di carne mista, ricco e saporito: un piatto tradizionale, ma sempre gradito. Una ricetta al volo? Tagliolini con vongole: in una padella, soffriggete aglio e peperoncino, aggiungete le vongole e sfumate con vino bianco. Cuocete i tagliolini, saltateli nel sugo e completate con una grattugiata di scorza di limone.

Altri progetti nel cassetto?

Molti! Uno dei prossimi obiettivi è ampliare la gamma dei prodotti, prestissimo introdurremo un nuovo formato di pasta e magari anche qualche specialità locale. Inoltre, stiamo organizzando dei corsi per trasmettere le tecniche della pasta fatta a mano e coinvolgere ancora di più la comunità. Ma, per ora, il focus è sulla "Festa del Fusillo Sangiliano" e sulla continua ricerca della qualità e della tradizione.

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Annamaria Parlato 31/03/2024

Il nuovo menù pop di "Cinquanta - Spirito Italiano" a Pagani

Un menù pop o menù alla moda è generalmente caratterizzato da cibi semplici, gustosi e riconoscibili, spesso con un tocco moderno o creativo. Questi menù tendono ad essere easy ed accessibili, con piatti che richiamano la nostalgia o la familiarità, ma che sono presentati in modo fresco e innovativo. Frutto della combinazione tra piatti comfort food e gourmet, mescolano sapori tradizionali con presentazioni accattivanti. Questo tipo di proposte sono ideali per ristoranti informali, food truck, caffetterie alla moda e locali notturni, dove i clienti cercano un'esperienza culinaria divertente, gustosa e memorabile.

E’ un menu molto pop, che vuole divertire il nostro ospite, e vuole essere un nuovo punto di partenza per la cucina del Cinquanta - ha tenuto a precisare Alfonso Califano, anima del progetto paganese - Una proposta tradizionale ma molto divertente, come ad esempio la parmigiana in carrozza, il cavallo di battaglia di Alessandro Tipaldi, alias Ingordo, o la "Ricreazione", ossia la ciabatta con mortadella e provolone”.

Cinquanta - Spirito Italiano, locale di tendenza nato dall'intuizione di Natale Palmieri e Alfonso Califano circa tre anni fa, ha rivoluzionato il concetto di “bar all’italiana”, diventando un luogo di aggregazione e svago a 360 gradi, in cui si può leggere il giornale durante il momento della colazione oppure ci si può incontrare durante l’ora dell’aperitivo e del post-cena, o addirittura fermarsi per un pranzo o una cena veloce.

Il Cinquanta ne ha fatta di strada in tre anni, collezionando importanti riconoscimenti di settore, e avvalendosi della collaborazione di esperti chef, ognuno dei quali ha lasciato la sua impronta e il proprio modus operandi in ogni piatto fumante fuoriuscito dalla instancabile cucina. A completare tutto, la bravura dei bartender e del personale di sala, sempre attento a soddisfare ogni esigenza della clientela di tutte le età.

Punto di forza del locale è infatti la cockteleria, sicuramente tra le più avanguardiste del territorio campano e salernitano; riferimento stabile al momento, almeno per quanto riguarda il meridione d’Italia. Il “Lasciati andare” del Cinquanta, originale claim in arancione fluo, quindi, coinvolge il palato in ogni sua declinazione. La mixologia artigianale qui rappresenta l'arte e la scienza della creazione di cocktail unici e di alta qualità, attraverso l'uso di ingredienti freschi, tecniche avanzate e una profonda conoscenza dei sapori e degli equilibri gustativi.

Al Cinquanta si pone una grande enfasi sull'uso di materia prima d’eccellenza, come distillati premium, liquori artigianali, sciroppi fatti in casa, succhi freschi, erbe aromatiche, spezie e infusi botanici. L'obiettivo è creare cocktail che esaltino i sapori naturali degli ingredienti e offrano una esperienza gustativa superiore. I bartender del Cinquanta sono maestri nell'utilizzare una varietà di tecniche di preparazione, tra cui l'infusione, l'affumicatura, la carbonazione, il fat-washing (aromatizzazione del liquore con grassi come il burro o il lardo) e il sous-vide (cottura a bassa temperatura). Queste tecniche permettono di creare cocktail con sapori e aromi intensi e complessi.

Da pochi giorni è stato presentato il menù firmato dal farmacista e food blogger Ingordo, ricco di interessanti novità. “Abbiamo cercato di porre al centro del progetto il cibo nazional popolare, che parte dall'Italia ma si lascia andare ad influenze internazionali, come ad esempio le nuggets con pollo scucchiato o il padellino paganese con carciofo e pancetta di Rubia Gallega”, ha affermato Alessandro Tipaldi. Le proposte prendono ispirazione dalle tapas, piccoli piatti tradizionali della gastronomia spagnola, serviti come antipasto o come accompagnamento a una bevanda.

La parola "tapas" deriva dal verbo spagnolo "tapar", che significa "coprire". L'origine di questo termine e del concetto di tapas ha diverse storie e leggende che ne raccontano la nascita. Una delle storie più popolari vuole che le tapas siano nate come un modo per coprire le bevande con un pezzo di pane o un altro alimento, per prevenire l'ingresso di mosche o polvere. Gli spagnoli avrebbero poi iniziato ad aggiungere sopra questi "coperchi" piccoli piatti di cibo, dando vita alle tapas come le conosciamo oggi.

In carta funziona bene il pane, pomodoro e scottona, che prende ispirazione dal “pan y tomate”, dove però al posto dello jamon iberico c’è un carpaccio di scottona selezione Baraonda e il pomodoro viene grattugiato e condito con olio, aglio, basilico, sale e pepe. Anche le fifty nuggets in chiave italiana, da intingere nella mayo al lime o nella barbecue della casa, sono goderecce e si lasciano divorare come le ciliege, poiché al loro interno c’è del pollo scucchiato cotto lentamente e sfilacciato, succoso e molto campagnolo, a cui è abbinato il cocktail "Casa Maria" a base di vodka alla provola affumicata, pomodoro pelato e passata di pomodoro Casa Marrazzo chiarificati, salsa di soia, tabasco e basilico.

Siamo molto felici di questa collaborazione perché punta a migliorare la nostra offerta food, sia per la pausa pranzo che per la cena - ha dichiarato Natale Palmieri, il bartender classificatosi al 2° posto alla World Class Italy 2022 e colonna portante del progetto Cinquanta - Inoltre abbiamo arricchito la nostra selezione di materie prime con collaborazioni di livello: alcune storiche, come quella con Casa Marrazzo Conserve, che ci accompagna fin dall'inizio, altre nuove, come quella con Peppe Menichini del Baraonda, che seleziona e confeziona dei salumi appositamente per noi”.

Interessanti anche la “tartare è tonnata” con carne di filetto del Salumificio Fezza, condita con la salsa tonnata composta da mayo, uova sode fredde, capperi, tonno e cucuncio con polvere di limone per guarnire, abbinata al cocktail “Death in the afternoon” con alsace riesling dopp&irionn, la fee assenzio, angostura orange, la parmigiana in carrozza e il polpo e patate da gustare con un “London Calling” in cui c’è del gin bombay premier cru, sherry tio Pepe Palomino Fino, succo di limone, zucchero e angostura orange.

I padellini sono imperdibili, frutto di ricerca e perfezionamento di Alessandro Tipaldi, allievo e amico di Gabriele Bonci. Gli impasti hanno un’idratazione dell’80% e la maturazione è di circa 36 ore. La maturazione viene realizzata con doppio pre-fermento: un poolish idratato al 100% e una biga al 55%. Questi due preimpasti vengono uniti dopo aver fatto 24 ore di fermentazione e fatti rifermentare altre 12. Prima di infornare, viene aggiunta salamoia di pomodoro.

Consigliata la Cosacca 2.0 ma ancora di più la Paganese multicereale ripiena, che vuole onorare uno dei prodotti simbolo di Pagani, il carciofo. Nel periodo pasquale viene mangiato arrostito assieme a salumi e formaggi. A completare l’imbottitura ci sono del primosale e pancetta di Rubia Gallega. I profumi di questa focaccia vengono esaltati se abbinati ad una birra California West Coast IPA 6,3% vol. di Mastri Birrai Umbri, dal colore dorato corposo e velato, spuma a grana fine, molto persistente. L'aroma è caratterizzato da note agrumate, erbacee e resinose di luppolo appena raccolto. Il gusto si basa sull'amaro del luppolo con lievi note di malto, una birra medio-leggera con un'elevata persistenza retro-olfattiva.

Per concludere, si può ordinare una pizza di gallette al “Limoncello Nazionale”, con i biscotti bagnati al limoncello e ripieni di crema pasticcera al limone, servita con un cocktail “Delizia al limone” composto da gin bombay premier cru, limoncello nazionale, liquore al cacao bianco e panna fesca.

Oggi, i bar sono una parte integrante della cultura moderna in tutto il mondo, continuano a evolversi, offrendo nuove esperienze e opportunità per socializzare in un ambiente confortevole e accogliente; Cinquanta - Spirito Italiano ne è un esempio lampante e vincente.

Cinquanta Spirito Italiano è un cocktail bar all’italiana nato nel 2021 a Pagani, in provincia di Salerno. Nel 2021 Gambero Rosso lo inserisce tra i “Bar d’Italia”, mentre Bargiornale lo elegge “Bar Rivelazione d’Italia”. Nel 2022 e nel 2023 viene nominato tra i primi 200 bar al Mondo da “500 Top Bar”. Nel 2023 viene nominato come il miglior “Bar Team dell’Anno” d’Italia secondo Bargornale, alla nona edizione dei Barawards, mentre il bartender Emanuele Primavera riceve il premio come “Best Bartender under 35” alla quarta edizione dei “Food & Wine Italia Awards 2023”. Nel 2022 colleziona il secondo posto come “Miglior Bar Team d’Italia” secondo Bargiornale; nuovamente inserito tra i “Bar d’Italia” secondo Gambero Rosso; il general manager Natale Palmieri si classifica al 2º posto alla WorldClass Italia; il bartender e direttore di sala Emanuele Monteverde si classifica al 2º posto Patròn Perfectionist Italia.

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Redazione Sarno 24 17/03/2025

Pompei, al "Caupona" un menù speciale per Plinio il Vecchio e Pomponiano

Grande successo per l'evento "Alla scoperta di Plinio il Vecchio", un viaggio unico tra storia e gastronomia per rivivere l’ultima impresa di Plinio il Vecchio, comandante della prima flotta imperiale, e il suo legame con il senatore Pomponiano. La serata, impreziosita dalla presenza dell'ing. Flavio Russo, esperto di storia romana, si è tenuta presso l’archeo-ristorante Caupona di Pompei, lo scorso 14 marzo.

Apertura affidata alla proiezione del documentario "79 d.C. L'ultimo comando di Plinio. Da Miseno rotta su Pompei", poi spazio all'esperienza sensoriale con il menù di Pomponiano, ispirato alla cucina dell’antica Pompei: pollo selvatico ripieno di funghi porcini, pancetta, spezie orientali e asparagi saltati con cannella, noci tostate e datteri (antipasto); zuppa di orzo, farro, cavolfiore, zafferano, erbe aromatiche e panis croccante (primo); capocollo di maiale brasato al Falerno con pepe, cumino, coriandolo, alloro, rosmarino e stufato di cicoria allo zenzero (secondo); ricotta di pecora con miele, carruba e fichi (dolce).

Le portate inserite nel menù dedicato al senatore stabiese sono state ricostruite grazie al lavoro dello studioso Francesco Di Martino, patron dell’archeo-ristorante Caupona, con la collaborazione di archeologi e storici. La preparazione dei piatti, invece, è stata affidata agli executive chef Aldo Nappo, Nicola Cesarano ed Emilio Cortiglia, che hanno combinato competenze storiche e culinarie.

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