Storia e cultura nel soffritto di Sant'Antuono, tipico dell'Agro Nocerino
Cavalcanti, Di Giacomo e Serao erano affascinati dal piatto per gli estimatori dei gusti decisi
Annamaria Parlato 17/01/2025 0
Il soffritto, piatto partenopeo, mantiene una forte presenza culturale anche nell’Agro nocerino-sarnese, dove è particolarmente consumato durante la festa di Sant’Antuono, il 17 gennaio. Questa celebrazione, dedicata al santo protettore degli animali, è caratterizzata da tradizioni culinarie che includono piatti a base di maiale, tra cui il soffritto. La preparazione di questa pietanza, in occasione della festa, diventa un momento di condivisione comunitaria, rafforzando il legame tra cibo e tipicità.
Nonostante le sue umili origini, il soffritto è oggi considerato patrimonio gastronomico regionale. Piatti come la pasta con il soffritto, le bruschette, la pizza fritta o persino il “cuzzetiello” al soffritto ne testimoniano la versatilità. Il suo sapore intenso e unico continua a raccontare la storia di un popolo capace di trasformare ingredienti semplici in capolavori culinari. Con il suo sapore deciso e piccante, dato dall'abbondante utilizzo di peperoncino e concentrato di pomodoro, la “zuppa forte” racchiude secoli di storia e cultura gastronomica.
Questo piatto, che utilizza frattaglie di maiale come cuore, polmone, fegato, trachea, diaframma, reni e milza, nacque dalla necessità di sfruttare ogni parte dell'animale, un principio fondamentale della cucina popolare partenopea. Un ruolo fondamentale nella diffusione del soffritto fu svolto dalle "zendraglie", le venditrici ambulanti di frattaglie e interiora animali. Queste donne, figure iconiche della Napoli settecentesca, popolavano i mercati rionali e i vicoli della città, trasformando la vendita in una performance pubblica con grida e canti. Il termine "zendraglia" deriva probabilmente dal dialetto e richiama materiali di scarto, in linea con la merce venduta: parti meno pregiate degli animali, rese accessibili alle classi popolari; contribuirono a radicare nella cultura culinaria napoletana il principio del non spreco e l'importanza di valorizzare ogni risorsa disponibile.
Il piatto ha in ogni caso origini antiche e il suo primo riferimento scritto si trova in "La Cucina Teorico-Pratica" (1837) di Ippolito Cavalcanti. Questo nobile appassionato di cucina non solo codificò ricette aristocratiche, ma raccolse anche piatti popolari, descrivendoli in dialetto napoletano. La ricetta del soffritto, con le sue interiora di maiale insaporite da spezie e pomodoro, riflette la tradizione popolare di valorizzare ogni risorsa disponibile. Ulisse Prota Giurleo, noto studioso delle tradizioni napoletane, ha riportato una ricetta manoscritta del soffritto datata 1743, rinvenuta sul retro di un documento notarile. Attribuita ad Annarella, proprietaria di una taverna a Porta Capuana, questo documento descrive l’uso di frattaglie cotte nello strutto con aglio e alloro. Prota Giurleo ha anche documentato i garzoni delle taverne che invitavano i passanti a gustare il soffritto, testimoniando l’importanza di questo piatto nella cultura popolare.
Salvatore Di Giacomo ha celebrato la cucina napoletana nelle sue opere, descrivendo l’amore del popolo per piatti semplici e saporiti, contribuendo a preservare l’identità culinaria partenopea. Anche Matilde Serao, nel suo celebre "Il ventre di Napoli" (1884), menziona il soffritto, definendolo dinamite e descrive il cibo come specchio delle condizioni sociali. Nel capitolo "Quello che mangiano", Serao racconta la creatività dei napoletani nel trasformare ingredienti poveri in piatti saporiti. Il soffritto si inserisce perfettamente in questo contesto culturale, rappresentando l'ingegno e la resilienza del popolo partenopeo.
Per realizzarlo vi sono diversi passaggi da seguire. Bisogna innanzitutto lavare accuratamente le frattaglie sotto acqua corrente fredda per eliminare eventuali impurità e poi si tagliano a piccoli pezzi. In una casseruola capiente, si scalda l’olio (o lo strutto) e si soffrigge la cipolla tritata finemente insieme agli spicchi d’aglio interi, che possono essere rimossi successivamente. Dopodichè si aggiungono le foglie di alloro e il peperoncino, lasciando insaporire per qualche minuto.
Unire poi le frattaglie e farle rosolare a fuoco vivace, mescolando frequentemente. Sfumare con un bicchiere di vino rosso e lasciare evaporare l’alcol. Incorporare il concentrato di pomodoro e, a piacere, anche l'estratto di peperoni per donare più colore e sapore, mescolare bene e cuocere a fuoco lento per 2 ore circa. Aggiustare di sale a fine della cottura. Infine servire il soffritto caldo, accompagnandolo con pane casereccio tostato o utilizzandolo come condimento per la pasta.
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Il pesco è una pianta fruttifera appartenente alla famiglia delle Rosacee. Ha mole modesta, raggiunge al massimo i 4 metri d’altezza: ha rami divaricati e foglie lanceolate, seghettate e con breve picciolo, di colore verde più o meno chiaro. I fiori hanno 5 petali rosei e numerosissimi stami. I frutti o pesche sono drupe, di solito sferoidali, suddivise in superficie in due metà, quasi simmetriche, da un solco laterale che va dalla cavità peduncolare all’apice, quest’ultimo in alcune varietà umbonato: molto variabili, secondo le cultivar, appaiono inoltre la grossezza del frutto, il suo colorito, la fragranza della polpa.
Le pesche, di sapore gustoso e profumo gradevole, sono apprezzate sia fresche che secche, in sciroppi, in confetture o candite. In Italia, dove la coltivazione delle pesche è favorita dal clima e dalla natura del terreno di alcune regioni, si pratica questo tipo di coltura sin dall’antichità. Per l'arrivo delle pesche nella zona mediterranea si deve ringraziare Alessandro Magno. È stato lui, infatti, a portarle a Roma: ne era rimasto colpito mentre visitava i giardini di Dario III in Persia. I Romani per primi furono grandi consumatori di pesche, trasportandole dalla Persia nel 50 a.C.; in realtà, il pesco è originario della Cina, dove cresce spontaneo.
Le pesche sono il simbolo della stagione estiva, annoverano molte proprietà benefiche, sono alleate della forma fisica, per arrivare in piena forma alla prova costume. Oltre ad essere ipocaloriche e del tutto prive di grassi, hanno proprietà antiossidanti. Ne esistono diverse varietà: si va dalla pesca gialla a quella bianca, dalla tabacchiera alla nocepesca: maturano dalla fine di maggio alla fine di settembre. Nel territorio nocerino, in zona Starza, sono famose le nettarine bianche, caratterizzate dalla buccia liscia di color crema, tendente al verdognolo, senza la peluria tipica delle pesche comuni, e dalla polpa candida. Hanno un sapore dolce, aromatico e delicato e la polpa è morbida e succosa, ideale per essere consumata fresca. Richiedono tanta manodopera perché sono molto delicate, anche se la richiesta sul mercato è vastissima poiché si tratta di un prodotto di gran pregio. Tra esondazioni dei torrenti circostanti e la cementificazione, i suoli per la coltivazione si tanno riducendo sempre più, tant’è che i frutti rischiano l’estinzione.
Le nettarine possono essere mangiate da sole o in macedonia. Utilizzate in pasticceria per aromatizzare torte e semifreddi, sono ideali nella realizzazione di sorbetti e gelati. Nei piatti salati diventano un originale antipasto, ma rendono raffinati anche risotti e primi piatti di pasta ripiena. Se abbinate alle carni, soprattutto al maiale, regalano un tocco di freschezza e colore. Le pesche sono un ottimo alleato della circolazione e aiutano ad eliminare il mal di testa. Essendo ricche di acqua e fibre, sono indispensabili nelle diete ipocaloriche, in quanto hanno un’elevata capacità di stoppare la fame e saziare. Il colore della pesca ha ispirato molti pittori: si trovano pesche mature nei quadri di Caravaggio (1592), Monet (1866), Renoir (1880) e Van Gogh (1888).