Pompei, al "Caupona" un menù speciale per Plinio il Vecchio e Pomponiano

Grande successo per la serata del 14 marzo, ospite speciale l'esperto di storia romana Flavio Russo

Redazione Sarno 24 17/03/2025 0

Grande successo per l'evento "Alla scoperta di Plinio il Vecchio", un viaggio unico tra storia e gastronomia per rivivere l’ultima impresa di Plinio il Vecchio, comandante della prima flotta imperiale, e il suo legame con il senatore Pomponiano. La serata, impreziosita dalla presenza dell'ing. Flavio Russo, esperto di storia romana, si è tenuta presso l’archeo-ristorante Caupona di Pompei, lo scorso 14 marzo.

Apertura affidata alla proiezione del documentario "79 d.C. L'ultimo comando di Plinio. Da Miseno rotta su Pompei", poi spazio all'esperienza sensoriale con il menù di Pomponiano, ispirato alla cucina dell’antica Pompei: pollo selvatico ripieno di funghi porcini, pancetta, spezie orientali e asparagi saltati con cannella, noci tostate e datteri (antipasto); zuppa di orzo, farro, cavolfiore, zafferano, erbe aromatiche e panis croccante (primo); capocollo di maiale brasato al Falerno con pepe, cumino, coriandolo, alloro, rosmarino e stufato di cicoria allo zenzero (secondo); ricotta di pecora con miele, carruba e fichi (dolce).

Le portate inserite nel menù dedicato al senatore stabiese sono state ricostruite grazie al lavoro dello studioso Francesco Di Martino, patron dell’archeo-ristorante Caupona, con la collaborazione di archeologi e storici. La preparazione dei piatti, invece, è stata affidata agli executive chef Aldo Nappo, Nicola Cesarano ed Emilio Cortiglia, che hanno combinato competenze storiche e culinarie.

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Annamaria Parlato 30/08/2024

Nella valle del Sarno rivive la tradizione della pannocchia d'estate

La pannocchia è la spiga del mais, caratterizzata da un insieme di chicchi disposti in file attorno ad un asse centrale. I chicchi, che variano nel colore dal giallo all'arancione, fino al rosso o viola, sono la parte commestibile della pannocchia. Ha una storia lunga e affascinante, che risale a migliaia di anni fa.

Il mais, da cui deriva la pannocchia, è originario del Messico. Le prime coltivazioni risalgono a circa 9.000 anni fa, quando le popolazioni indigene iniziarono a selezionare e coltivare il teosinte, una pianta erbacea selvatica, che è l'antenato del mais moderno. Attraverso una lunga selezione artificiale, gli antichi agricoltori riuscirono a sviluppare le varietà di mais che conosciamo oggi. Il mais si diffuse rapidamente in tutta l'America, diventando un alimento base per molte civiltà precolombiane, come i Maya, gli Aztechi e gli Inca.

Oltre al suo utilizzo alimentare, il mais aveva anche un ruolo importante in cerimonie religiose e culturali. Fu introdotto in Europa dopo l'arrivo di Cristoforo Colombo nelle Americhe, nel 1492. Gli esploratori spagnoli e portoghesi portarono i semi di mais nei loro paesi d'origine, dove la pianta si adattò bene ai climi temperati. Nei secoli successivi, il mais si diffuse in tutta Europa, Asia e Africa. In Italia, la sua coltivazione prese piede soprattutto nel nord, nelle regioni della Pianura Padana, dove il clima era favorevole alla sua crescita.

In Italia, il mais divenne rapidamente un alimento base, soprattutto nelle regioni settentrionali. La polenta, un piatto a base di farina di mais, divenne uno dei cibi più comuni tra le popolazioni rurali. La pannocchia, invece, era consumata sia fresca che essiccata. Con il tempo, la coltivazione del mais contribuì alla rivoluzione agricola in Europa, poiché offriva un raccolto abbondante e nutriente, che poteva sfamare grandi popolazioni. La pannocchia è diventata un simbolo di abbondanza e prosperità. In molte culture, è associata al raccolto e alla festa.

Oggi, il mais è una delle colture più importanti al mondo. Viene utilizzato non solo per l'alimentazione umana, ma anche per la produzione di mangimi animali, biocarburanti e numerosi prodotti industriali. La pannocchia, in particolare, rimane un cibo apprezzato e viene consumata in molte forme diverse, è anche utilizzata per produrre farina di mais, olio e altre derrate alimentari. È spesso protagonista nelle sagre italiane, dove viene celebrata come simbolo di tradizione agricola e gastronomica. Durante queste feste popolari, che si svolgono solitamente nei mesi estivi o all'inizio dell'autunno, la pannocchia viene preparata in vari modi, ma la versione più comune è quella grigliata o arrostita.

A Castel San Giorgio (SA), nella valle del Sarno, ogni anno si tiene la Sagra della Pasta e Fagioli e della Pannocchia, dove viene servita anche fritta. La pannocchia viene spesso cotta su grandi griglie all'aperto, esaltando il suo sapore dolce e affumicato. I partecipanti alle sagre la consumano direttamente dal torsolo, magari condita con un po' di sale, burro, salse o altre spezie, ma anche cioccolata. La pannocchia è diventata un simbolo dell'estate, associata a momenti di relax, vacanze e pasti all'aperto. La sua popolarità durante i mesi estivi è un esempio di come le tradizioni agricole si siano integrate nelle abitudini alimentari moderne.

Il venditore di pannocchie era una figura popolare ("o' spicaiolo"), particolarmente amata dai bambini e dai lavoratori, che cercavano uno spuntino economico e nutriente. In molte comunità, il venditore di pannocchie (dette in dialetto "pullanchelle") era conosciuto da tutti e la sua presenza era un segno del cambio di stagione. Sebbene oggi questa professione sia meno comune, specialmente nelle città, il ricordo del venditore di pannocchie rimane vivo nella memoria collettiva e in alcune sagre, dove questo ruolo viene celebrato e a volte ricreato.

Il profumo che emana il pentolone ("caurara") in cui bollono le spighe riporta indietro nel tempo, all’infanzia e alla gestualità dei venditori ambulanti, che in grandi fogli di carta oleata le avvolgevano, ricoprendole di sale che fuoriusciva da un grande corno di bue, lo stesso utilizzato per insaporire "o’ per e o’ muss".

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Redazione Sarno 24 05/07/2024

Pompei, dedicato all'oste più famoso dell'antichità il menù di "Caupona"

Le pietanze che si servivano duemila anni fa nel Termopolio di Vetutius Placidus, uno dei più celebri della città sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C., ritrovano consistenza, profumo e, soprattutto, sapore nel nuovo menù che l’archeo-ristorante “Caupona” di Pompei ha dedicato all’oste più famoso dell’antichità. Le nuove portate del menù di Vetuzio Placido, cinque in tutto, si ispirano infatti alla vita di questa figura di spicco della società pompeiana dell’epoca, che insieme alla moglie Ascula gestiva una caupona (un’osteria), strategicamente posizionata su via dell’Abbondanza.

I loro nomi compaiono in manifesti elettorali e su diversi manufatti in terracotta, a sottolineare la loro rilevante posizione sociale. D’altra parte anche la loro caupona è un ottimo esempio di mobilità sociale nell'antica Pompei, a dimostrazione che commercianti ed artigiani godevano di uno status elevato. In questo locale si servivano bevande e cibi caldi conservati in grandi giare incassate nel bancone di mescita in muratura, riccamente decorato. Adiacente alla zona pranzo, un triclinio (sala da pranzo) ben arredato permetteva agli ospiti di gustare i pasti in un ambiente più formale, completo di posti a sedere e decorazioni elaborate.

Le portate inserite nel menù dedicato all’antico oste pompeiano sono state ricostruite grazie al lavoro dello studioso Francesco Di Martino, patron dell’archeo-ristorante Caupona, con la collaborazione di archeologi e storici. La preparazione dei piatti, invece, è stata affidata agli executive chef Aldo Nappo, Vincenzo Russo e Giuseppe Cassaro, che hanno combinato competenze storiche e culinarie.

Ecco cosa prevede il menù. Gustatio con crostone con ricotta di pecora, miele e mandorle. Promulsis con pastinache arrosto con miele, aceto e filetti di merluzzo con olive, lupini e ceci su salsa all’albicocca con pepe e zenzero. La Prima Mensa è farro e orzo con zucchine all’Apicio, menta, alici marinate al timo e garum. Si prosegue con la Secunda Mensa: sogliola aromatizzata con spezie antiche con insalatina di rucola, mela, cetrioli e uva. Infine la Crustula con patina de piris: torta di pere cotte con miele e cannella.

Il menù di Vetuzio Placido sarà disponibile presso l’archeo-ristorante “Caupona” di Pompei per tre mesi.

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Annamaria Parlato 08/02/2025

Roccapiemonte, da Polichetti l'architettura del gusto e dell'innovazione

La pizza, espressione di artigianalità e ricerca del perfetto equilibrio tra struttura e gusto, può sorprendentemente trovare un parallelo nell’architettura di Renzo Piano. Come un edificio ben progettato deve essere solido ma leggero, così la pizza in pala si distingue per il suo impasto arioso e croccante, frutto di un’attenta lavorazione e di un processo di fermentazione studiato nei minimi dettagli. Il pizzaiolo diventa un progettista, dosando ingredienti e tecniche per ottenere un risultato armonico, proprio come un architetto seleziona materiali e forme per costruire spazi accoglienti e innovativi.

La "pizza in pala" ha caratteristiche uniche, che la rendono un’eccellenza nell’arte bianca. L’impasto, a lunga maturazione e con un’idratazione superiore all’80%, conferisce una leggerezza straordinaria e una consistenza alveolata, simile alle strutture trasparenti e ariose che caratterizzano le opere di Piano. La sua forma allungata permette un’ottima distribuzione degli ingredienti, garantendo equilibrio perfetto tra croccantezza e sofficità. La cottura attraverso una pala di legno e il successivo passaggio sulla pietra refrattaria assicurano una base croccante e ben strutturata, proprio come le fondamenta solide di un edificio iconico.

Antonio Polichetti ("La Pizza di Polichetti" a Roccapiemonte), nella sezione "Tony Alti" del suo menù, ha ideato la pizza "Piano come Renzo", omaggio alla genialità dell’architetto genovese. Questa creazione si basa su una struttura precisa e bilanciata, dove ogni ingrediente trova il proprio posto in un dialogo di sapori e consistenze. La base croccante, ottenuta grazie all’alta idratazione dell’impasto e allaprecottura a 300° e ad un secondo passaggio a 270°, fa da fondamento a una combinazione raffinata di provola affumicata, cipolla rossa di Tropea in carpione, salsa di arancia rossa, rapa rossa arrosto e basilico rosso. Il gioco di contrasti tra dolce, acidulo e affumicato ricorda l’uso dei materiali negli edifici di Piano, dove vetro e acciaio convivono con elementi naturali, creando strutture leggere ma di grande impatto visivo. In architettura e urbanistica, gli spazi devono essere progettati per un flusso armonico. Nella pizza, la disposizione degli ingredienti segue lo stesso principio: devono esserci spazi vuoti e pieni, per non appesantire né visivamente né al palato, i prodotti non devono essere ammassati, ma distribuiti strategicamente per garantire una degustazione equilibrata ad ogni morso, le forme e i colori devono interagire in modo armonioso, come in un’opera di urbanistica ben studiata.

L’architettura e la pizza condividono un principio fondamentale: devono emozionare chi le vive. Come il grattacielo The Shard a Londra o il Centre Pompidou a Parigi sfidano la gravità, con trasparenze e linee essenziali, così la pizza in pala deve risultare croccante fuori e soffice dentro, in un equilibrio perfetto tra leggerezza e solidità. La selezione degli ingredienti diventa una questione di progettazione: la cipolla rossa in carpione dona un contrasto fresco e vibrante alla dolcezza della rapa rossa glassata, mentre la salsa di arancia rossa aggiunge un tocco di brillantezza, che esalta ogni componente, proprio come un dettaglio architettonico ben studiato valorizza l’intero edificio.

La filosofia di Renzo Piano si basa sulla ricerca della leggerezza e della trasparenza, valori che si ritrovano anche nella pizza contemporanea. La fermentazione dell’impasto, che ne aumenta la digeribilità senza comprometterne la struttura, è un chiaro esempio di come la tecnica possa essere messa al servizio dell’esperienza sensoriale, proprio come le scelte costruttive di Piano mirano a creare ambienti luminosi e accoglienti. La pizza, in questo caso, è una creazione studiata nei minimi dettagli, capace di comunicare attraverso forma, consistenza e gusto, esattamente come un edificio ben progettato parla a chi lo osserva e lo vive.

Se l’architettura di Renzo Piano ha ridefinito il concetto di spazio urbano, pizzaioli innovatori come Antonio Polichetti dimostrano che anche la pizza può essere un’arte in continua evoluzione. Creare un grande impasto significa lavorare su tempi e proporzioni, bilanciare umidità e temperatura, proprio come un architetto bilancia volumi e materiali. Ogni elemento, sia in un progetto architettonico che su una pizza, deve avere una funzione e un significato. L’equilibrio tra tradizione e innovazione, essenziale in entrambi i mondi, porta a risultati capaci di stupire e affascinare, trasformando ogni boccone in un’esperienza memorabile, proprio come la vista di una grande opera architettonica.

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