Marzatica, la cipolla bianca di Pompei: storia, gusto e benessere
Un'eccellenza dell'Agro nocerino-sarnese fra tradizione agricola e usi in cucina
Annamaria Parlato 22/03/2025 0
La cipolla bianca di Pompei è una varietà tradizionale coltivata nel territorio pompeiano e dell'Agro Nocerino-Sarnese. Questo ortaggio si distingue per le dimensioni medio-piccole, la forma appiattita e la polpa bianca con leggere sfumature verdi. La sua coltivazione ha radici antichissime e si intreccia con la storia di Pompei e dell’area vesuviana, dove la cipolla era già conosciuta e utilizzata dagli antichi Romani.
Scavi archeologici hanno dimostrato che nella Pompei del I secolo d.C. la cipolla era un alimento di largo consumo, tanto da essere rappresentata in alcuni affreschi e citata nei testi dell’epoca come parte integrante della dieta quotidiana. Gli abitanti di Pompei e delle zone limitrofe la consumavano cruda, in insalata, oppure cotta e mescolata con altri ingredienti, come formaggi e legumi, per preparare pietanze nutrienti ed economiche. Con la distruzione di Pompei nel 79 d.C., a seguito dell’eruzione del Vesuvio, molte colture agricole furono devastate, ma la tradizione della cipolla si mantenne nei secoli successivi grazie agli agricoltori locali, che continuarono a selezionare le migliori varietà.
Durante il Medioevo, la cipolla era considerata un alimento essenziale per la popolazione rurale e per i monaci che la coltivavano negli orti dei monasteri. In epoca borbonica, con il rinnovamento agricolo del Regno di Napoli, la cipolla bianca di Pompei venne ulteriormente valorizzata e inserita nelle rotazioni colturali tipiche della piana vesuviana. Ancora oggi, questa varietà è coltivata con metodi tradizionali che ne preservano le caratteristiche originarie, tramandando tecniche agronomiche che risalgono a secoli fa.
Dal punto di vista agronomico, la cipolla bianca di Pompei si caratterizza per un ciclo precoce e una buona adattabilità ai terreni vulcanici dell’area vesuviana. Predilige suoli sciolti, ben drenati e ricchi di sostanza organica, con un pH compreso tra 6,0 e 7,5. Il clima ideale per la sua coltivazione è quello mediterraneo, con inverni miti ed estati calde, ma si adatta anche a temperature più fresche, purché non scendano sotto i 5°C per periodi prolungati. La semina avviene tra agosto e settembre, con trapianto autunnale (ottobre-novembre) delle piantine su file semplici o multiple, mantenendo una distanza di circa 15 cm tra le piante e 30 tra le file. L’irrigazione è fondamentale nelle prime fasi di sviluppo, soprattutto se si verificano periodi di siccità invernale. Tuttavia, è importante evitare ristagni idrici, che potrebbero favorire malattie fungine come la peronospora (Peronospora destructor) o la botrite (Botrytis allii).
La concimazione deve essere equilibrata: si consiglia l’uso di fertilizzanti a base di azoto, fosforo e potassio, privilegiando ammendanti organici come compost o letame maturo per migliorare la fertilità del terreno. La raccolta avviene generalmente tra marzo e giugno, quando le cipolle hanno raggiunto la maturità, caratterizzata dall’ingiallimento e dalla piegatura delle foglie. Una volta estratte dal terreno, vengono lasciate ad asciugare al sole per alcuni giorni, in modo da favorire la conservazione. Le cipolle raccolte vengono commercializzate fresche, spesso in mazzi legati con le loro stesse foglie. Le varietà locali prendono il nome dal periodo di maturazione, scandendo così la stagionalità di questa coltura tipica dell’Ager Pompeianus.
Ogni varietà si distingue per lievi differenze nella pezzatura e nella consistenza, pur mantenendo le caratteristiche distintive di dolcezza e croccantezza. Marzatica: matura a marzo e presenta un equilibrio tra croccantezza e succosità, ideale per insalate e preparazioni crude; Aprilatica: raccolta ad aprile, è una delle più diffuse e viene spesso utilizzata sia fresca che per conserve sott’olio o sott’aceto; Maggiaiola: è la varietà di maggio, caratterizzata da un bulbo più sviluppato e da un sapore leggermente più intenso, perfetto per soffritti e piatti a lunga cottura; Giugnese: ultima della stagione, raccolta a giugno, presenta un’ottima conservabilità ed è utilizzata sia per il consumo fresco che per preparazioni tradizionali, come la pizza di cipolle o la cipolla gratinata.
Dal punto di vista salutistico, la cipolla bianca di Pompei è una fonte preziosa di composti solforati, tra cui l’allicina, che ha proprietà antibatteriche, antifungine e antivirali. È ricca di flavonoidi come la quercetina, un potente antiossidante che aiuta a ridurre l’infiammazione e a proteggere il sistema cardiovascolare, riducendo i livelli di colesterolo LDL e migliorando la circolazione sanguigna. Grazie alla presenza di vitamine del gruppo B (B1, B2 e PP), questa cipolla favorisce il metabolismo energetico e il corretto funzionamento del sistema nervoso. La vitamina C potenzia le difese immunitarie e protegge le cellule dallo stress ossidativo. La presenza di sali minerali come potassio, calcio e ferro aiuta a mantenere l’equilibrio idrico, rafforza ossa e denti e previene l’anemia.
Inoltre, la cipolla bianca di Pompei ha proprietà ipoglicemizzanti, contribuendo a regolare i livelli di zucchero nel sangue e risultando utile per chi soffre di diabete. I suoi effetti diuretici e depurativi favoriscono l’eliminazione delle tossine, riducendo la ritenzione idrica e migliorando la funzionalità renale. Studi scientifici dimostrano che il consumo regolare di cipolle può avere un ruolo nella prevenzione del cancro, grazie alla capacità di inibire la crescita di cellule tumorali in diversi tessuti.
Tra le ricette in cui esaltare la cipolla bianca di Pompei c'è la zuppa, preparata facendo appassire lentamente le cipolle in olio extravergine di oliva e sfumandole con vino bianco, prima di aggiungere brodo vegetale e pane tostato; oppure la confettura di cipolle, ottenuta cuocendo le cipolle con zucchero, aceto balsamico e spezie, perfetta per accompagnare formaggi stagionati. Un altro piatto tipico è la frittata, dove le cipolle vengono rosolate fino a doratura, prima di essere mescolate con uova sbattute e cotte in padella fino a ottenere una consistenza soffice e dorata. Infine, la cipolla può essere protagonista di una pizza rustica al padellino con cipolle stufate, olive nere, acciughe e provola affumicata, apprezzandone tutta la freschezza e profumi.
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Annamaria Parlato 24/01/2025
La verza tardiva di Sarno è un tesoro d'inverno, unisce storia e salute
La verza tardiva di Sarno (Brassica oleracea var. sabauda), appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, si distingue per le sue caratteristiche uniche. Questo cavolo dal sapore intenso rappresenta una tradizione agricola che si intreccia con la storia della Valle del Sarno, un territorio noto per la sua fertilità e il legame profondo con la terra. Si presenta con una testa compatta e foglie sovrapposte di un verde intenso all'esterno, che sfuma verso un verde più chiaro o giallastro al centro.
Le foglie sono increspate e spesse, con una consistenza croccante che le rende ideali per diverse preparazioni culinarie. Il sapore è ricco e leggermente dolce, con una nota terrosa che esprime tutta la genuinità di questo ortaggio. La capacità della verza di adattarsi alle basse temperature la rende particolarmente indicata per i climi invernali, periodo in cui raggiunge la sua piena maturazione. La coltivazione della verza tardiva di Sarno segue un ciclo preciso, che sfrutta al meglio le caratteristiche del clima locale.
La semina avviene in autunno, generalmente tra settembre e ottobre. In questa fase, i semi vengono piantati in terreni fertili e ben drenati, preparati con tecniche tradizionali che rispettano l'ambiente. I semi vanno coperti con uno strato di terra e mantenuti umidi durante il periodo di germinazione. Dopo alcune settimane dalla semina, le piantine vengono trasferite in campo aperto, dove continueranno il loro sviluppo fino alla maturazione. La raccolta avviene nei mesi invernali, tra dicembre e febbraio, quando la verza raggiunge la piena maturazione. Questo periodo è cruciale per ottenere un prodotto di qualità, poiché le basse temperature contribuiscono a esaltare il sapore e la croccantezza delle foglie.
La storia della verza ha origini antichissime, risalenti alle civiltà mediterranee. Forse ebbe origine nell'antico Medio Oriente, diffondendosi successivamente in Europa e in altre parti del mondo attraverso le rotte commerciali e le migrazioni. I Greci e i Romani adottarono la verza nella loro dieta, utilizzandola sia come alimento sia come rimedio naturale. In particolare, i Romani consideravano il cavolo un simbolo di forza e salute, utilizzandolo per curare ferite e disturbi gastrointestinali.
Con il passare dei secoli, la coltivazione della verza si è diffusa in tutta Europa, diventando un alimento essenziale durante i mesi invernali per le sue proprietà di lunga conservazione. Nel sarnese, già in epoca borbonica, la verza tardiva era nota per la sua capacità di resistere alle gelate invernali e veniva apprezzata come ingrediente essenziale nella cucina povera, quando la conservazione dei cibi era una sfida quotidiana. La verza, con il suo ciclo di crescita tardivo e il bisogno di terreni ricchi d'acqua, ha trovato in questa zona un habitat ideale, grazie all'abbondanza delle sorgenti naturali e al microclima unico.
È un alimento estremamente ricco di nutrienti e povero di calorie, il che lo rende ideale per una dieta equilibrata. Spiccano la vitamina C, fondamentale per il sistema immunitario, e la vitamina K, importante per la salute delle ossa e la coagulazione del sangue; contiene composti come i polifenoli e il sulforafano, che aiutano a combattere lo stress ossidativo, promuove attraverso le fibre la salute intestinale e contribuisce a mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo. È ricca di potassio, ferro e calcio, essenziali per il funzionamento del sistema muscolare e nervoso.
Un piatto semplice e genuino che valorizza al meglio il sapore intenso della verza è la zuppa di riso, patate e verza. Ingredienti: 1 verza tardiva di Sarno (circa 600 g), 2 patate medie, 200 g di riso Arborio o Carnaroli, 1 cipolla, 2 spicchi d'aglio, Olio extravergine d'oliva q.b., Sale e pepe q.b., Brodo vegetale (circa 1 litro), Peperoncino (facoltativo).
Preparazione: 1. Lavate accuratamente la verza, rimuovendo le foglie più esterne e tagliandola a striscioline sottili. 2. Pelate le patate e tagliatele a dadini. 3. In una pentola capiente, soffriggete la cipolla tritata e l'aglio schiacciato con un filo d'olio extravergine. 4. Aggiungete le patate e la verza, mescolando per insaporire il tutto. 5. Versate il brodo vegetale caldo e lasciate cuocere a fuoco medio per circa 20 minuti. 6. Unite il riso e continuate la cottura, mescolando di tanto in tanto, fino a quando il riso sarà al dente. 7. Regolate di sale e pepe, aggiungendo un pizzico di peperoncino, se gradito. 8. Servite caldo, con un filo di olio a crudo, per esaltare i sapori, e formaggio grattugiato a piacere.
In un'epoca in cui i prodotti industriali dominano i mercati, sostenere questa eccellenza agricola significa non solo preservare l’autenticità di un territorio, ma anche valorizzare una cultura che guarda al futuro con le radici ben salde nel passato.
Annamaria Parlato 20/11/2024
Il segreto è negli "Impasti", nel laboratorio creativo di Angri la pizza "vive"
Siamo in pieno centro ad Angri, a pochi passi dal Castello Doria e dalle maggiori attrazioni cittadine sorge "Impasti". Il locale non è solo una pizzeria, ma un vero laboratorio di creatività culinaria. È qui che ogni elemento prende forma, in un perfetto equilibrio tra sapori e consistenze. Un anno fa, Antonio Cuciniello e Gianpiero D’Ambrosio hanno inaugurato la pizzeria, che immediatamente ha saputo rispondere, con una perspicace offerta, alla forte domanda che si è subito presentata a poche settimane dall’apertura.
Gianpiero, essendo già ristoratore (gestisce anche un locale di cucina giapponese), ha saputo affrontare con esperienza e oculatezza le sfide del mercato, travolgendo Antonio con il suo entusiasmo e incitandolo a non scoraggiarsi di fronte alle prime difficoltà, perseguendo l’obiettivo principale: aprire la prima pizzeria in società. I due sono partiti come un treno ad alta velocità e non si sono più fermati, anzi in questo viaggio nel “gusto morbido” hanno incontrato il maestro pizzaiolo Antonio Mosca, originario di Barra, che vanta ben 25 anni di esperienza nell’arte bianca.
Entrando da "Impasti", si viene accolti da un’atmosfera calda e conviviale; il forno a legna, cuore pulsante della pizzeria, domina la scena, permettendo ai clienti di assistere alla magìa della cottura. Il servizio è attento e cordiale, guidato da uno staff giovane. La peculiarità di "Impasti" risiede nella lavorazione - appunto - del suo impasto, che si distingue per l’utilizzo della tecnica indiretta. Questo metodo prevede una doppia fase di fermentazione: si inizia con un pre-impasto, una biga, che viene lasciato maturare a lungo, circa 48 ore, favorendo lo sviluppo di aromi complessi e una leggerezza unica.
Solo successivamente viene lavorato con gli altri ingredienti per creare l’impasto finale. Il risultato è una base incredibilmente soffice, ariosa e digeribile, capace di esaltare ogni condimento senza appesantire il palato. Questo processo garantisce che l’impasto raggiunga la perfetta maturazione, evitando sovraccarichi di glutine e zuccheri che potrebbero rallentare la digestione. Ogni morso è un viaggio che combina tecnica moderna e rispetto per i tempi naturali.
Le farine, selezionate con cura, si combinano in blend unici e sorprendenti. Qui si prediligono Varvello e Vigevano a filiera corta e controllata: i grani utilizzati sono selezionati per provenienza e qualità, garantendo tracciabilità e sicurezza alimentare. Arricchite di fibre e germe di grano attivo, sono adatte per lunghe lievitazioni: sono pensate per lavorazioni che richiedono tempo e pazienza, rendendole perfette per pizze con alta idratazione e alveolature importanti. Una grande attenzione è stata dedicata agli impasti senza glutine, con spazi e forni dedicati. Le materie prime, scelte tra le eccellenze del territorio, si incontrano in accostamenti originali su questi impasti leggerissimi, trasformando ogni pizza in un’esperienza nuova e stimolante.
"Impasti" fa della valorizzazione del territorio un punto fermo. Ogni ingrediente utilizzato è selezionato con cura, privilegiando produttori locali. Tra gli esempi più rappresentativi troviamo il fiordilatte campano, con la sua freschezza e cremosità; i pomodori San Marzano DOP, maturati al sole della piana dell'Agro nocerino; l’olio extravergine d’oliva delle Colline Salernitane IGP, che aggiunge una nota profumata e avvolgente; le verdure di stagione provenienti dai mercati contadini della zona, sempre protagoniste di accostamenti creativi. Anche l’arte del fritto si esprime al massimo livello. I fritti qui non sono semplici antipasti, ma vere e proprie delizie culinarie, in cui ogni dettaglio è curato per offrire un’esperienza indimenticabile. Dall’arancino classico al crocchè di patate di Avezzano, fino alle frittatine di pasta rivisitate, ogni boccone racconta la passione per la qualità e la creatività.
E allora si consiglia di assaggiare la Margherita per iniziare la degustazione con la pizza tradizionale per eccellenza, proseguendo con quelle più contemporanee come una deliziosa Scarpariello con pomodoro del Piennolo rosso, fiordilatte, olio EVO, salsiccia a punta di coltello, provolone del monaco DOP all’uscita, basilico, pepe di Sichuan. Ogni pizza è pensata per esaltare le caratteristiche uniche dell’impasto, mai sovrastandolo, in perfetta armonia con la sua leggerezza. Ottimo dessert le nuvolette soffiate al pistacchio, non mancano vini rossi e rosati, bollicine, birre artigianali e amari. In fondo, il segreto di "Impasti" è tutto racchiuso nel suo nome: un’arte che parte dalla farina e si sublima nei dettagli.
Redazione Sarno 24 21/05/2024
Debutto nell'Agro a Corbara per il progetto "Di Food in Tour"
Corbara è un Comune dalla storia millenaria, tant’è che risalgono al II secolo a.C. i primi insediamenti. Alla distruzione di Nocera (216 a.C.), ad opera di Annibale, parte della popolazione superstite si trasferisce nelle zone limitrofe, in attesa della ricostruzione della città, durata trent'anni e finanziata dal Senato di Roma per ripagare Nocera della fedeltà a Roma stessa. In questo periodo, verosimilmente, si suppone abbia preso corpo il grosso del nucleo abitativo che diventerà Corbara.
I primi documenti (1010) che citano Corbara risalgono a qualche secolo antecedente l'avvento dei Longobardi e parlano di strade di collegamento, che dal paese portavano alla via Stabia, cioè all'arteria principale che univa Nocera a Castellammare. La storia di Corbara si integra inevitabilmente con quella di Nocera ed è per questo che, a seguito della seconda distruzione compiuta dai Longobardi, Nocera non rinacque più sul modello dell'urbe Romana ma come confederazione di villaggi sparsi, dotati di larga autonomia, denominata Civitas Nuceriae; la confederazione durò fino al 1806 quando, per decreto di Gioacchino Murat, vennero costituiti i Comuni.
Domenica 26 maggio, dalle ore 10:00, vi sarà l’occasione, per chi vorrà visitarla, di conoscerne aspetti culturali ed enogastronomici, grazie al progetto itinerante e tutto al femminile “Di Food in Tour”, che proprio a Corbara inaugura la prima tappa dell’Agro-Nocerino-Sarnese. Dopo i saluti dell'Amministrazione comunale, rappresentata dal Sindaco, Pietro Pentangelo, dal Vicesindaco, Monica Tramparulo, dalla Consigliera con delega alle Attività Produttive, Pina Giordano, e dalla Pro Loco, che accoglieranno tutti con un caffè di benvenuto presso la Caffetteria Baci e Abbracci-S.Erasmo, si partirà dalla settecentesca Cappella di San Giuseppe, costruita ad opera della famiglia Giordano, circondata dalle tipiche abitazioni storiche, per approfondire la conoscenza del borgo, e ci si incamminerà sino all'inizio del percorso Grotta del Caprile-Chianiello-Parco Regionale dei Monti Lattari, per ammirarne le bellezze paesaggistiche e la maestosità.
Corbara è il punto di partenza dei sentieri che raggiungono le pendici delle cime dei Monti Lattari. Il sentiero basso, che parte dal Borgo Sala, raggiunge prima il Chianiello di Angri e poi il Castello di Lettere. Risalendo poi le pendici, si può raggiungere la Grotta del Caprile, il Monte Cauraruso e il Sentiero 300, che è la via alta dei Monti Lattari sino al Monte Cerreto. Subito dopo questa panoramica sul territorio, si proseguirà alla volta dell'Eremo di Sant’Erasmo (prime testimonianze in atti pubblici intorno al 1581), da cui ogni anno, nel mese di luglio, si ripete la secolare tradizione della Calata dell'Angelo.
Seguirà una sosta presso il Ristorante Da Salvatore, dove il menù sarà a base di ingredienti territoriali, come il famoso pomodoro corbarino, il tutto innaffiato dal famoso vino di Corbara. Dopo pranzo, ci sarà modo di visitare la storica Pasticceria Nasta, con una dolce "sortita" post-pranzo a base di specialità artigianali; l'Azienda Agricola Luigi Giordano, per apprezzare le colture locali; in conclusione di giornata un approfondimento culturale presso la Chiesa Madre di San Bartolomeo, patrono di Corbara, per i saluti di congedo.
Gli atti dell'Archivio diocesano di Nocera, relativi al Sinodo, voluto dal Vescovo Pietro Strabone nel 1479, dicono che, già a quel tempo, a Corbara, esisteva una Chiesa di San Bartolomeo, tuttavia, le sue condizioni statiche ed architettoniche dovevano essere piuttosto precarie se, come risulta dalla Visita Pastorale di mons. Eusebio del 10 giugno 1526, essa viene descritta come "un'antica spelonca, diruta e non pavimentata". Nel 1587, il Sindaco Gio Angelo Giordano e moltissimi altri cittadini, attraverso una petizione rivolta al Vescovo Sulpicio Costantino, ottengono l'autorizzazione ad erigere una chiesa parrocchiale, dedicata al Santo che si festeggia ogni anno dal 20 al 27 agosto.
La Vicesindaca Tramparulo ha sostenuto: “Siamo felici di ospitare questa iniziativa, che dal 2017 sta facendo conoscere la provincia di Salerno a numerosi visitatori. Accogliamo sempre con gioia queste iniziative a Corbara, perché riteniamo, come amministrazione comunale, di promuovere maggiormente il turismo, soprattutto quello dei borghi e di prossimità. Speriamo che in futuro la nostra cittadina possa diventare un esempio virtuoso sul territorio dellAgro, accogliendo visitatori di varie nazionalità, per far vivere loro esperienze coinvolgenti a 360 gradi. Complimenti alle donne e professioniste che portano avanti questo progetto, sono molto coraggiose ma d’altronde chi non si dà da fare non ottiene nulla”.
Mina Felici, la Presidente del CTG Picentia, associazione che ha lanciato il format “Di Food in Tour”, ha aggiunto: “Le prenotazioni sono aperte sino a venerdì 24 maggio, invitiamo quindi tutti a compilare il modulo online sul nostro portale e a non perdere questo interessante tour alle porte di un nuovo territorio, che siamo pronte ad esplorare in lungo e in largo, come abbiamo sempre fatto ormai da sette anni a questa parte”.
La vicepresidente, Annamaria Parlato, giornalista enogastronomica e direttrice di Sarno24.it, ha dichiarato: “Corbara è conosciuta per il pomodoro corbarino, che ogni chef o pizzaiolo brama per le proprie creazioni culinarie. E’ un'eccellenza che presto riceverà riconoscimenti importanti a livello di denominazioni. Anticamente, però, esistevano numerose colture, come i limoni o la vite, che si stanno pian piano recuperando. Il vino di Corbara era noto anche ai Romani, tant’è che le condizioni pedoclimatiche particolarissime e irripetibili danno vita al Cruàra, un prodotto unico. Domenica si scopriranno molte situazioni interessanti, che sicuramente incanteranno i partecipanti, desiderosi di scoprire le bellezze campane”. Il Food Blog 2Ingredienti Arte&Cibo sarà media partner dell’evento.