Nocera Inferiore, da WIP si incontano il Primitivo di Bello e la pizza d'autore
"Sorsi e Morsi" tra vini identitari, ricette creative e memorie familiari con Gaetano Cataldo
Annamaria Parlato 15/05/2025 0
Martedì 13 maggio, la Pizzeria WIP di Nocera Inferiore ha ospitato "Sorsi e Morsi", una serata-evento intensa e raffinata che ha visto protagonista il winemaker Ciro Bello, titolare della Cantina Bello di Albanella, affiancato dal sommelier Gaetano Cataldo, giornalista enogastronomico, fondatore di Identità Mediterranea e miglior sommelier dell'anno al Merano WineFestival.
Ad impreziosire il racconto e la degustazione, gli interventi tecnici dei giornalisti de Il Mattino Annibale Discepolo e Nello Ferrigno, che hanno commentato con competenza vini e piatti. In sala, oltre a tanti cronisti di settore e produttori dell'Agro di nota fama, anche la consigliera comunale di Nocera Inferiore, Carmen Granato, e il sindaco di San Valentino Torio, Michele Strianese, testimoni di un evento che ha saputo unire sapore, racconto e appartenenza.
La Cantina Bello, realtà vitivinicola della provincia di Salerno, è nata da un desiderio profondo di mettersi in gioco e dare forma a una passione autentica per la terra. «Il vino - racconta Ciro Bello - è sempre stato, per me, un modo per esprimere quello che sento, le mie origini, la mia famiglia. Ogni nome ha un significato preciso: Amemí è l’espressione che usiamo quando qualcosa ci piace davvero, è stupore, è godimento. Gianpié prende il nome da contrada Gianpietro, la zona di Albanella dove cresco le mie uve. Manumea, invece, è un ricordo tenero: mia nonna lo diceva ogni volta che qualcosa non le convinceva, come a dire “se l’avessi fatto io con le mie mani, sarebbe venuto meglio”».
I tre vini della serata – Amemí Rosato Colli di Salerno Igt 2024, Gianpié Seibar Spumante Charmat Brut Rosé 2024 e Manumea Primitivo Colli di Salerno Igt 2023 – hanno tracciato un itinerario emozionale e sensoriale attraverso piatti pensati per esaltarne i profumi, la struttura e l’identità. Il viaggio è cominciato con Amemí, rosato da uve Primitivo, dalla beva fresca e fruttata, riflessi aranciati con nuance ambrate, che ha accompagnato con equilibrio e vivacità gli antipasti creati dallo chef Rega e dal pizzaiolo Faiella.
La Scaruella, con impasto ai cereali e farcitura di scarola riccia, pancetta casertana, pomodori al forno e polvere di olive nere, ha trovato nel rosato il partner ideale, capace di equilibrare sapidità e note erbacee. La Favetta, dominata da crema di fave e guanciale, ha trovato contrasto e brio nell'acidità del vino. Il terzo assaggio, con impasto alla Curcuma, caprino Pucciarelli e pomodorino candito di Corbara, ha danzato con i profumi floreali e fruttati dell’Amemí, amplificandone l’eleganza.
Il primo piatto, un Carnaroli di Sibari alle fragole sfumato con Gianpié Seibar e mantecato al Parmigiano 36 mesi con mentuccia, ha celebrato lo spumante Charmat Brut Rosé in tutta la sua energia eclettica. Un vino che, come il rosato Amemí, ha rivelato caratteristiche androgine: molto femminili nell’abito – con le sue delicate sfumature rosa cerasuolo – ma decisamente più virili al sorso, grazie a una struttura viva e una spalla acida decisa.
Il Gianpié Seibar ha esaltato le fragole del risotto, evocando aromi di caramelle gelée alla frutta, accenni di gomma big-babol e richiami quasi infantili e pop, senza mai perdere eleganza. Un gioco sottile tra nostalgia, freschezza e verticalità. Anche Amemí, nel suo slancio aromatico, ha giocato sullo stesso dualismo: delicato al naso, con profumi di frutti rossi, petali di rosa e cedrangolo, ma sorprendentemente deciso in bocca, con una vena sapida e succulenta che ne ha fatto un ottimo compagno degli antipasti più strutturati e saporiti.
Il protagonista assoluto è stato il Manumea Primitivo Colli di Salerno Igt 2023, 15°, in abbinamento a uno stracotto di manzo cucinato lentamente con alloro, primitivo e pepe di Sichuan. Un vino profondo, ricco di tannini maturi e aromi di ciliegia nera, prugna secca, pepe nero e cacao amaro. Il sorso ha mostrato tutta la forza del Primitivo, vitigno a bacca nera fra i più antichi del Mediterraneo, arrivato in Campania circa un secolo fa grazie al Conte Falco, che portò nel casertano le barbatelle di Primitivo di Gioia del Colle. Il suo nome deriva dal fatto che le sue uve maturano presto – primo, appunto – e la sua esuberanza alcolica lo ha reso storicamente protagonista dei tagli in blend con vini più leggeri. Oggi, vinificato in purezza, si è mostrato in tutto il suo carattere: generoso, caldo, appassionato, come la terra rossa da cui nasce.
In chiusura, una Pastiera di grano classica ha sigillato il racconto con le sue note agrumate, floreali e burrose. I profumi di fiori d’arancio, i sentori di grano cotto nel latte e la cremosità della ricotta hanno evocato la memoria del Sud più autentico. Accanto, un gelato al latte di bufala dal gusto pieno e rotondo ha aggiunto una nota lattica e fresca, in perfetto contrasto con la dolcezza avvolgente del dolce. Una chiusura di armonia, tradizione e poesia.
"WIP è nato per essere un laboratorio di idee - affermano i titolari Domenico Fortino e Lorenzo Oliva - dove la pizza incontra il territorio e il racconto del gusto si fa esperienza viva. Serate come questa dimostrano quanto sia potente il linguaggio del vino quando viene messo in relazione autentica con la cucina e con chi la vive". Il pubblico, partecipe e divertito, ha seguito con interesse ogni racconto, ogni nota olfattiva, ogni suggestione gastronomica. Ha lasciato la serata con il sorriso sulle labbra e un bagaglio arricchito di nuove conoscenze, sensazioni e storie da ricordare, portando a casa un piccolo pezzo di Campania da narrare a sua volta. "Sorsi e Morsi" si è confermato così un format capace di raccontare il territorio con autenticità, dove ogni bicchiere è un luogo e ogni piatto una storia da ascoltare, tra le vigne di Albanella e l’ombra dei templi di Paestum.
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Redazione Sarno 24 09/01/2025
Iniziato "l'anno del km zero", a Castellammare il calendario Foodyear 25
L’origine dell’espressione “chilometro zero”, l’importanza di acquistare prodotti locali, il rispetto della stagionalità degli ingredienti, lo sguardo all’ambiente: sono alcuni dei temi emersi dagli interventi della presentazione di Foodyear 2025, sabato 4 gennaio nella sala eventi dello Yacht Club Marina di Stabia, a Castellammare.
Da un’idea del fotoreporter Gianni Cesariello, il prodotto editoriale è nato anche grazie alla collaborazione della giornalista Ilaria Cotarella e di Marco Pirollo, giornalista e direttore di Madeinpompei.it. L’incontro si è aperto con i saluti di Marco Dimiccoli, direttore dello Yacht Club di Marina di Stabia, che si è dichiarato entusiasta del progetto.
"La seconda edizione di questo calendario - afferma Cesariello - è dedicata alla sostenibilità. In alcune foto gli chef espongono prodotti a chilometro zero, così come molte delle aziende sponsor lavorano a chilometro zero". Tra gli interventi, quello di Rosario Lopa, portavoce della Consulta Nazionale per l’Agricoltura: "Questo calendario ha fatto una scelta tematica adeguata, promuovere la sostenibilità. Si fa riferimento alle realtà del territorio che producono e trasformano, mettendo i consumatori finali nelle condizioni di assaggiare, gustare e sentire i profumi dei prodotti a chilometro zero. Dal produttore al consumatore attraverso un calendario che promuove l’enogastronomia del territorio".
Redazione Sarno 24 05/05/2025
Pompei, il pizzaiolo Contaldo sul podio al Mondiale di Parma
Il pizzaiolo pompeiano Gaetano Contaldo, in forza al ristorante "La Gare" di Pompei, con la sua Margherita Stg ha conquistato il terzo posto nella categoria "Pizza Napoletana Stg - Regina di Tradizione" al 32° Campionato Mondiale della Pizza, tenutosi a Parma dall’8 al 10 aprile 2025. Con un punteggio di 767 punti, Contaldo è risultato il primo rappresentante della Campania nella graduatoria della competizione.
La categoria Pizza Napoletana Stg (Specialità Tradizionale Garantita) richiede l’adesione a un disciplinare rigoroso, depositato presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che riconosce nella Margherita e nella Marinara i modelli autentici della tradizione e ne definisce ingredienti e tecniche di lavorazione specifiche.
Gli unici tipi di pizza ammessi sono la Margherita e la Marinara, preparate esclusivamente con prodotti selezionati come farina di grano tenero, lievito di birra, acqua potabile, pomodori pelati o freschi, sale marino e olio extravergine d’oliva, con l’eventuale aggiunta di mozzarella Stg o di Bufala Campana Dop, aglio, origano e basilico fresco.
Annamaria Parlato 26/12/2024
La minestra maritata dell'Agro nocerino è un "cult" di Santo Stefano
La minestra maritata, o “pignato grasso”, è uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica campana e in particolare dell’Agro nocerino-sarnese, un autentico tesoro culinario che racchiude storia, cultura e sapori unici. Questo piatto, il cui nome letteralmente significa “minestra sposata”, prende il nome dall’armoniosa combinazione di carne e verdure, un connubio che si rifà all’antica arte della cucina contadina. La storia è lunga e affascinante, con radici che risalgono all’epoca romana.
La ricetta originale deriverebbe da un piatto noto come “minutal”, una preparazione a base di carne e verdure diffusa nell’antica Roma. Durante il periodo aragonese a Napoli, il piatto subì l’influenza dell’olla podrida spagnola, un ricco stufato di carne e legumi che condivideva la filosofia di combinare ingredienti diversi per creare un piatto unico e sostanzioso. Arricchitasi di profumi e tecniche culinarie importate dagli spagnoli, la minestra maritata divenne più raffinata e si consolidò come elemento distintivo della cucina campana.
Questo pasto unico era originariamente preparato per le occasioni speciali, in particolare per Natale e Pasqua, quando le famiglie si riunivano per celebrare le festività. La sua complessità e ricchezza di ingredienti riflettevano l’abbondanza e il calore delle tradizioni familiari. La minestra maritata ha trovato spazio persino nella letteratura tra i secoli XIII e XVIII (Pulci, Cervantes, Latini, Casanova), contribuendo a raccontare la cultura e le tradizioni campane. Anche in testi meno noti è stata citata come esempio di come il cibo possa riflettere il legame profondo tra terra, tradizioni e memoria collettiva.
Il cuore della ricetta risiede nella perfetta unione tra carne e verdure, che prevede una selezione di tagli specifici (maiale e parti grasse, manzo, pollo o gallina) e un assortimento di ortaggi a foglia, ognuno dei quali contribuisce a creare un’esplosione di sapori. Ogni tipo di carne viene cotto lentamente per ottenere un brodo ricco e saporito, che diventa la base del piatto. Le verdure variano a seconda della stagione e della disponibilità, ma la tradizione dell’Agro privilegia: scarola, bietola, cicoria, catalogna, broccoletti, verza, torzella (una varietà antica di cavolo tipica della Campania, dal sapore intenso e leggermente amarognolo).
Queste verdure, accuratamente lavate e lessate, vengono unite alla carne per completare la minestra. Le carni si cuociono in abbondante acqua con cipolla, sedano e carota, un po' di lardo, formando un brodo ricco e profumato. Le verdure sono aggiunte al liquido di cottura delle carne per preservare i loro sapori distinti. Il tutto viene fatto sobbollire, per consentire ai sapori di amalgamarsi assieme a qualche scorza di parmigiano. Un filo d’olio extravergine d’oliva e una spolverata di formaggio e pepe a completano il piatto. La minestra è spesso accompagnata da pane raffermo tostato o dai tipici scagliuozzi di polenta fritta.
Oggi, è ancora un piatto molto amato, soprattutto nelle famiglie che custodiscono gelosamente le antiche ricette tramandate di generazione in generazione. Molti ristoranti e trattorie dell’Agro propongono questa pietanza nei loro menù, permettendo anche ai turisti di scoprire un autentico sapore della tradizione. Pur essendo profondamente legata al territorio campano, la minestra maritata ha conquistato il palato di molti oltre i confini regionali. Alcune varianti moderne includono ingredienti innovativi o semplificano la ricetta per adattarsi ai ritmi della vita contemporanea, ma il cuore del piatto rimane invariato: l’equilibrio perfetto tra carne e verdure.
Per accompagnare la minestra, è consigliabile scegliere un vino campano che ne esalti i sapori intensi senza sovrastarli. Tra le opzioni migliori: Aglianico del Taburno, un rosso strutturato e ricco di tannini che si sposa perfettamente con la complessità del piatto, bilanciando la grassezza della carne e la mineralità delle verdure; Piedirosso, meno tannico dell’Aglianico, ma con una buona acidità e note fruttate che si combinano bene con il sapore rustico e leggermente amarognolo delle verdure; Greco di Tufo per chi preferisce un vino bianco, che con la sua freschezza e le sue note minerali può offrire un interessante contrasto ai sapori ricchi della minestra maritata.