"Pane e Tradizione" in villa comunale a Pagani il 4 e 5 ottobre 2025

Un evento in sinergia con AMA e Associazione Panificatori Provincia di Salerno

Redazione Sarno 24 29/09/2025 0

Il 4 e 5 ottobre, la Villa Comunale di Pagani si trasforma in un paradiso per gli amanti del pane, della tradizione e del buon cibo. Un evento in sinergia con AMA e Associazione Panificatori Provincia di Salerno. Non solo pane appena sfornato, ma anche prodotti tipici del territorio offerti dai food sponsor Agrovo Alimentari, Casa Marrazzo, Linea verde, Dall'orto alla tavola, La Palma alimentari. In agenda show-cooking e laboratori.

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Annamaria Parlato 28/05/2025

Castel San Giorgio, Gaetano Cataldo racconta il vino come un'opera d'arte

Nel panorama enologico contemporaneo, la figura del sommelier ha superato i confini della sala e della carta dei vini. Non è più solo colui che serve e consiglia, ma un interprete del gusto, un divulgatore, un ricercatore culturale. Deve conoscere territori, vitigni, linguaggi, abbinamenti, tecniche di fermentazione, ma anche saper comunicare attraverso storie, emozioni e contaminazioni. Oggi il sommelier si trova a dover decifrare un mondo sempre più stratificato, il vino è bevanda e simbolo identitario, sociale, talvolta spirituale.

In questo contesto, il profilo di Gaetano Cataldo, originario di Castel San Giorgio, spicca per originalità e visione. Navigatore per mestiere, sommelier per passione, divulgatore per vocazione, ha costruito un dialogo tra il mare e il vino che non è solo tecnico, ma culturale e umano. Ha fondato Identità Mediterranea nel 2016, piccola associazione culturale con la quale ha creato, assieme a Roberto Cipresso, il famoso “Mosaico per Procida”, prima bottiglia a celebrare una capitale italiana della cultura. Nel 2022 ha ricevuto il Premio come Miglior Sommelier dell’anno al Merano Wine Festival (31^ edizione), prestigioso riconoscimento che ha premiato non solo la sua competenza tecnica, ma anche la sua capacità di unire enologia, mare e cultura in un linguaggio originale e profondo.

Ha tenuto lezioni e conferenze in Italia e all’estero sul tema del vino come veicolo di dialogo interculturale e nel maggio 2025, ha ricevuto al Senato (Sala Zuccari) il riconoscimento speciale al merito dalla commissione del Gran Premio Internazionale di Venezia. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua traiettoria unica e le esperienze che lo hanno reso una voce autorevole e inconfondibile nel panorama vitivinicolo italiano.

Nel tuo curriculum si intrecciano il mare e il vino: in che modo l’esperienza da navigante ha influenzato il tuo approccio alla degustazione e alla narrazione del vino?

In effetti ho condotto, quasi in parallelo, due vite professionali, diventando ufficiale di navigazione e corroborando le mie skills di sommelier. Molti tendono a vedere slegati i due aspetti, ma in realtà i viaggi attorno al mondo mi hanno messo in condizione di visitare cantine altrimenti irraggiungibili per me all'epoca, di assaggiare vini di ogni continente sul posto e spedirli a casa. Ho scoperto, sperimentato e memorizzato profumi e sapori di cucine lontane, cercando sempre di completare la mia esperienza di visitatore e di sensorialista: si possono visitare tutti i musei e le attrazioni turistiche di un Paese, ma se non si mangia e si beve come fanno i locali, non solo non si entrerà nella loro mentalità e nel loro quotidiano, ma si sarà conosciuto un luogo per metà.

Il mare è stato per me una palestra di vita e l'opportunità di conoscere e apprezzare differenze e sfumature di umanità, culture, alimentazione ed enologia. Non sono stati forse i navigatori ancestrali a redistribuire il dna della vite, a globalizzare il marketing del vino ed esportare conoscenza da luoghi lontani? Cosa ne sarebbe stato del Marsala senza gli Inglesi e come sarebbe stato inventato il Madera?

Sei stato un pioniere nell’esplorare la relazione tra il mare e il vino ben prima dell’hype dell’underwaterwine: cosa significa per te questa connessione e cosa la distingue dal marketing di tendenza?

Il 1 settembre 2011, su Mediterranea Online, usciva "Il Vino e il Mare", dove effettivamente parlavo della profonda relazione tra i due elementi a 360°, motivato anche a dare una risposta alle mie due categorie di appartenenza, i marittimi e i sommelier, riguardo alla coesistenza del vino e del mare, nella mia vita professionale, oltre che come passioni inscindibili. È stato decisamente uno tra i pezzi più fortunati che abbia scritto, anche perché ripubblicato su Vinoway nello stesso anno e, oltretutto, nel 2014 sarebbe stato pubblicato su "Vitae", rivista ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier, su richiesta dell'allora presidente nazionale Antonello Maietta. Quest'ultima fu una sorta di consacrazione come wine writer.

Ovviamente, in maniera sottintesa, nel pezzo si parlava di cantinamento e affinamento subacqueo, oltre che di ritrovamenti straordinari, avvenuti sui fondali, e che restituivano alla luce vini perfettamente intatti, prodotti dai Romani secoli prima, grazie alle attività di archeologia marina. Al di là delle tendenze del marketing, il pezzo voleva rimarcare quanto il mare fosse oggettivamente la cantina perfetta. Si deve considerare che la temperatura e l'umidità costanti e l'assenza di luce a certe profondità sono le condizioni ideali per una maturazione lenta e regolare.

Inoltre è bene anche considerare che la pressione che la colonna d'acqua esercita sulle bottiglie immerse favorisce la solubilità dei composti aromatici e, nel caso di spumantizzati, ne migliora il perlage. Oggi la pratica del cantinamento subaqueo è per certi versi inflazionata e rischia di apparire tale anche quando produce i suoi effetti sul vino: occorre sempre ancorare gli "underwater wines" a solide motivazioni di tipo culturale e usarlo come opportunità per studiare il comportamento di specifici vini monovarietali che vi vengono sottoposti.

Hai assaggiato vini in ogni parte del mondo: c’è un sorso che ti ha fatto capire che il vino è molto più di una bevanda?

Si, tutte le volte che con l'equipaggio ci siamo riuniti attorno a una bottiglia di vino per semplice allegria, piuttosto che contestualizzarne il sapore attraverso la cultura del Paese di origine o per scoprire come ci stava su una data ricetta, provandolo poi con numerose altre. Il vino pertanto è molto più di una bevanda, a partire dal confronto che si crea attorno a esso; un confronto tra colleghi, amici e specialisti del settore: la platea trasversale di pubblico internazionale con cui si ha a che fare quando si lavora su navi da crociera ha dell'incredibile e, per me, ha costituito senz'altro un booster esperienziale decisivo per il mestiere di sommelier.

In un sorso di vino ci si può perdere, tanto è la complessità, ci si può ritrovare, in quanto è capace di riaccordare l'animo e farci fare pace col mondo. Un sorso di vino è cultura, calore familiare, eleganza contadina, erudizione comunicativa, evocazione paesaggistica e molto di più. Ai sorsi ho mescolato i luoghi che me li ricordano, quindi cito questi ultimi con affetto e in ordine sparso: Atene, Izmir, Alessandria d'Egitto, Port Said, Mandelieu-la-Napoule, Barcellona, Fira, Singapore, Callao, Dublino, New Orleans, Vitória, Richard's Bay, Murmansk, Manila, Venezia, La Coruña, Baton Rouge, Kashima, Milazzo, Juneau, Istambul, Kotor, Cabo San Lucas, Dublino. Ma nella "cantina dei ricordi" c'è molto altro che lega il sorso al viaggio.

Con Identità Mediterranea hai intrecciato cultura, spiritualità e gusto, arrivando a consegnare il "Mosaico per Procida" anche nelle mani di Papa Francesco. Quale ricordo personale ti lega a quel momento e cosa hai visto negli occhi di un pontefice che oggi non c’è più?

Identità Mediterranea è diventata ormai come una figlia, la fondai nel 2016 e grazie a questa associazione abbiamo fatto cose incredibili e sempre, è proprio il caso di dirlo, nella maniera più francescana possibile: mostre, annulli filatelici, convegni, serate di degustazione, formazione e wine tour, non ultimo l'esperienza di aver ideato, con l'amico Roberto Cipresso, "Mosaico per Procida", primo vino in assoluto a celebrare una capitale italiana della cultura. Il ricordo del 28 settembre 2022 (foto in fondo all'articolo, ndr) è decisamente molto vivo in me: l'occasione di portare la bottiglia celebrativa a Sua Santità è stata un'esperienza di grande impatto emotivo.

A nome dell'Isola di Arturo portai un formato magnum di Mosaico per Procida, diventando di fatto il primo sommelier, fuori dalle mura vaticane, a essere ricevuto da un Pontefice durante un'udienza generale; oltre ad essa anche una serigrafia acquerellata a mano, effigiante "inCanto diVino" di Carolina Albano, da cui è nata l'etichetta del Mosaico. Ricordo che Papa Francesco esclamò "un vino, che bello! Che bella bottiglia!", con la voce mite e il tono affettuoso di chi dispensa caramelle a un bambino, con uno sguardo curioso e quasi fanciullesco. Dopo avergli illustrato i motivi del dono e il progetto, mi accomiatai citando rispettosamente il Nolano: non è la materia a generare il Pensiero, ma il Pensiero a generare la materia. E questo perché Mosaico per Procida è stato appunto un progetto tanto eversivo quanto francescano, perchè fatto senza scopo di lucro e controcorrente.

Sei stato il primo a teorizzare il legame tra sake e Dieta Mediterranea: cosa ti ha spinto a esplorare questa frontiera e quali connessioni hai scoperto tra le due culture?

Mi piace sempre esordire, a proposito di sake, dicendo che Dioniso è stato anche in Giappone. La mia generazione è cresciuta guardando i cartoni giapponesi, ho sempre avuto una passione per le arti marziali e per la cultura dell'Estremo Oriente, anche a partire dalla lettura del "Libro dei Cinque Anelli" di Miyamoto Musashi. I primi viaggi in Giappone, tra il 2001 e il 2002, quando imbarcavo sulle navi da carico, non hanno fatto altro che confermare la forte passione per questo Paese, anche se ero a digiuno, o quasi, di ciò che so oggi sul sake giapponese.

Posso dire anzitutto che Italia e Giappone sono imbrigliati pressoché nella stessa fascia di latitudine, hanno un periplo costiero molto rilevante, oltre ad essere Paesi sismici e vulcanici. Entrambe le culture, anche se quella nipponica in maniera più riservata, sono solite dare il benvenuto a tavola ed hanno un legame stretto con il cibo. Ho cominciato a studiare sake verso il 2015 e a berlo un po' prima, diventando sake sommelier nel 2017 con la Sake Sommelier Association, eravamo pochissimi in Italia all'epoca. Fino ad oggi ho anche fatto docenze per la Scuola Italiana Sake e contributo per tutte e quattro le edizioni ai "Sake Days" che si tengono in ottobre a Firenze; inoltre ho tenuto ben 3 relazioni per alcune delegazioni dell'AIS, tra Salerno e Bologna, accendendo il tema giù da noi e farci serata, in maniera inedita, al Wip Burger & Pizza di Nocera Inferiore, dimostrandone le possibilità di abbinamento con la tonda mediterranea.

Infatti ho esperito molto attraverso assaggi di ricette e prodotti appartenenti al nostro modello alimentare con il fermentato di riso, con ottimi risultati, e arrivando a scrivere diversi articoli in cui tratto appunto il match con pizza, salumi, formaggi e ostriche. Senza dilungarmi troppo posso affermare serenamente che sake e Dieta Mediterranea stanno bene insieme perché gli ingredienti delle nostre rispettive cucine sono omologhi, benché diversi, e presentano in molti casi il fattore umami, che è la principale chiave di volta per procedere nell'abbinamento.

Il titolo di “miglior sommelier dell’anno” al Merano Wine Festival nel 2022 è stato un riconoscimento importante a livello nazionale: ma viene davvero apprezzato nel tuo territorio, a Castel San Giorgio? Ti senti valorizzato a casa tua?

Devo dire che c'è stata una certa avidità di inchiostro da parte di gente che pretenderebbe di ritrarre territori e fare comunicazione, ma sappiamo bene quanto sia fazioso e scadente il giornalismo nelle nostre aree, specie quello enogastronomico, e quanto rappresenti una sorta di propaganda "motu proprio"; poi, vallo a capire perché taluni si reputano pure enogastronomi e provetti assaggiatori. Il punto non è questo però, sappiamo cosa diceva Totò a proposito del fatto che questa terra non ci perdona il successo, e inoltre bisogna sopportare umanamente invidie, gioie e dolori; il fatto è che quando omettiamo di raccontare certe cose ne muore il territorio stesso, ne fa le spese perché non abbiamo riportato quell'esempio valido che potrebbe ispirare altre persone a fare qualcosa di utile per questo nostro Agro Nocerino-Sarnese e per la Campania in generale.

Ci tocca continuare a tirare l'aratro e non pensarci: c'è tanto ancora da fare qui e una buona semina deve poterne uscire fuori, il resto è sotto il naso di tutti, il vento non lo fermi e i circoletti degli amici degli amici cominciano a sapere di stantio e di retrogrado. A Castel San Giorgio in particolare devo dire che, tralasciando i giornalini e rispetto al "Nemo Propheta in Patria", c'è stata una inversione di tendenza: l'amministrazione comunale si è sempre ben spesa verso me, non sono mancati i riconoscimenti e le attestazioni di stima. Magari un giorno finisce che mi si inviti pure alla "Notte del Rosso".

Qualcuno dovrebbe poter capire che fare rete e gioco di squadra è fondamentale oggi, se vogliamo appunto far rinascere i nostri territori senza personalismi. Ciò che mi tengo stretto e che mi giova al cuore è che tutti i miei concittadini e amici mi vogliono un gran bene e non perdono occasione di complimentarsi con me per le mie attività, facendomi puntualmente arrossire: in fondo, chi mi conosce sa che sono da sempre il ragazzo della porta accanto e che non mi sono mai montato la testa. Evidentemente il vero successo è proprio questo: avere l'affetto delle persone vicino a te e che, avendoti visto crescere, ti accettano con tutti i pregi e i difetti.

Se dovessi stappare una bottiglia che ti rappresenta oggi, quale sceglieresti e con chi vorresti condividerla, magari in riva al mare?

Al di fuori di Mosaico per Procida, cui debbo mille fantastiche avventure, il vino che più mi rappresenta è quel rosso che richiede tempo per smussare le spigolature del proprio carattere e l'irruenza giovanile, insomma un vino che, bevuto di anno in anno, dimostra di migliorare con il tempo. Certo, sarebbe un peccato non bere in compagnia, anche perché di amici vecchi e nuovi, sempre pronti ai falò estivi e a incrociare i calici, certo non ne mancano. Ma chi può dirsi veramente solo con una buona bottiglia di fronte al mare? Detto ciò, a parte gli appuntamenti con i propri pensieri, la vita è bellissima e piena di sorprese, sempre pronta a riservarci incontri speciali.

Cataldo è un sommelier che ha navigato davvero, dentro e fuori dal bicchiere. Le sue parole restituiscono una visione ampia, colta e poetica del vino. Un vino che attraversa mari, si mescola alle culture, dialoga con il presente e guarda al futuro senza perdere le radici. Un vino che racconta la vita, come le rotte che ha tracciato in giro per il mondo. Perché, in fondo, come dice lui, “la cosa più bella è condividere una storia. E un sorso di verità”.

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Annamaria Parlato 14/12/2024

Angri, la ricetta della "scarola capillina" imbottita di Zia Nennella

La scarola (nome scientifico Cichorium endivia, varietà latifolium) ha una storia che affonda le sue radici nell'antichità ed è legata alla famiglia delle cicorie. È una pianta erbacea originaria del bacino del Mediterraneo, coltivata e apprezzata per il suo gusto delicatamente amarognolo e per le sue proprietà salutari. Era conosciuta già dagli Egizi e dai Greci, che ne apprezzavano il valore medicinale e alimentare, infatti la usavano sia cruda che cotta, come ingrediente per insalate e decotti. I Romani svilupparono tecniche di coltivazione per migliorarne il gusto, rendendola meno amara rispetto alle piante selvatiche. Scrittori come Plinio il Vecchio la menzionano come alimento comune e salutare, lodandone le virtù digestive.

Durante il Medioevo, la scarola fu coltivata nei monasteri come pianta medicinale e alimentare. La sua capacità di crescere anche nei climi più freddi ne favorì la diffusione in tutta Europa. Veniva utilizzata soprattutto per bilanciare i pasti a base di carne, considerati "pesanti". Nel Rinascimento, con lo sviluppo dell’agricoltura, la scarola iniziò a essere selezionata per ottenere varietà più tenere e meno amare. Fu in questo periodo che divenne un ingrediente popolare nelle cucine nobili, oltre che in quelle popolari.

Oggi è una delle verdure simbolo della cucina mediterranea, soprattutto nel Meridione, dove ha trovato il suo massimo utilizzo in piatti tipici come la pizza di scarola e la scarola imbottita. Questa verdura è strettamente legata alla tradizione contadina, che ne apprezzava la capacità di resistere al freddo, rendendola un ortaggio invernale perfetto. Nelle regioni italiane del Sud, come Campania e Puglia, è diventata un ingrediente irrinunciabile durante le festività natalizie. La scarola ha quindi attraversato i secoli, evolvendo da pianta selvatica a coltivazione raffinata, diventando simbolo di una cucina semplice ma ricca di sapori.

Ha molteplici proprietà benefiche per la salute, grazie alla sua ricchezza di nutrienti e composti bioattivi. È un alimento leggero, disintossicante e versatile, ideale per mantenere il benessere dell'organismo. In natura esistono due generi, liscia e riccia, che vengono utilizzati per diverse preparazioni in cucina. Ad Angri, nel salernitano, è nota la "scarola capillina", una varietà di indivia riccia a ciclo invernale. Forma un cespo compatto e grande, con foglie finemente laciniate di colore verde chiaro, quasi "filiformi", da cui deriva il nome, e un cuore bianco se legato o coperto prima del consumo. Può raggiungere i 45 cm di diametro e un peso consistente. È resistente alla salita a seme e ha un sapore delicato, leggermente amarognolo.

È perfetta per ricette come insalate crude, zuppe leggere, o in preparazioni tradizionali stufate o imbottite, dove il suo gusto si esalta. Questa varietà è meno robusta rispetto alle scarole più comuni, quindi richiede una maggiore attenzione nella pulizia e nella cottura per preservarne la consistenza. Ottima in brodo con le polpettine, come ripieno della pizza rustica, con i fagioli, all’insalata o con il baccalà, magnifica ripiena e stufata, diventa un secondo gustoso da proporre nelle festività natalizie.

Questa è la ricetta della signora Immacolata Parlato, confidenzialmente zia Nennella, che aggiunge un tocco personale e ricco alla preparazione, che in origine nasce con meno ingredienti. Per raggiungere una cottura perfetta si consigia di utilizzare un tegame dai bordi alti, possibilmente di rame, poiché le scarole vengono adagiate una accanto all’altra e all’impiedi, legate con un filo di spago da cucina.

Ingredienti per 4 persone: 4 cespi di scarola capillina, 200 g di salsiccia fresca, 8-10 pomodorini spunzilli o ciliegini, tagliati a metà, 4 filetti di acciuga sott'olio, 2 cucchiai di capperi dissalati, 50 g di olive nere denocciolate (tipo Gaeta), 40 g di parmigiano grattugiato, 2 spicchi d'aglio, olio extravergine d'oliva, sale e pepe q.b., spago da cucina.

Preparazione della scarola: pulite i cespi di scarola, eliminando eventuali foglie rovinate; lavate accuratamente sotto acqua corrente per eliminare eventuali residui di terra; sbollentate i cespi per 3-4 minuti in acqua salata, quindi scolateli e lasciateli intiepidire su un canovaccio.

Preparazione del ripieno: in una padella, scaldate un filo d'olio con uno spicchio d'aglio; aggiungete i filetti di acciuga e fateli sciogliere delicatamente; unite la salsiccia sgranata, i pomodorini, i capperi e le olive; cuocete il tutto per circa 8-10 minuti, regolando di sale e pepe; spegnete il fuoco e aggiungete il parmigiano grattugiato, mescolando bene.

Farcitura e legatura: allargate delicatamente ogni cespo di scarola su una superficie piana; farcite il centro con una generosa quantità di ripieno, richiudete le foglie su se stesse e legate ogni cespo con lo spago da cucina, formando un pacchetto compatto.

Cottura finale e servizio: in una casseruola capiente, scaldate un filo d'olio e l'altro spicchio d'aglio; sistemate i cespi di scarola legati nella casseruola e fateli rosolare su entrambi i lati; aggiungete un mestolo d'acqua o brodo vegetale, coprite con un coperchio e lasciate stufare a fuoco lento per circa 15-20 minuti, girando a metà cottura; rimuovete lo spago e servite i cespi di scarola imbottiti caldi o tiepidi, accompagnati da un buon pane casereccio.

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Redazione Sarno 24 23/05/2024

Dal 24 al 26 maggio a Pagani torna l'International Street Food

Il Sindaco De Prisco, insieme all'assessore al commercio, Pietro Sessa, ha fortemente voluto anche quest'anno a Pagani la manifestazione di cibo internazionale più famosa d'Italia, dopo il grande successo del 2023. L'International Street Food è in programma da venerdì 24 a domenica 26 maggio in Arena Pignataro. Sabato e domenica gli stand saranno aperti anche a pranzo, a partire dalle 12:00. Ingresso gratuito.

ORARI: 24 maggio dalle 18:00 alle 24:00, 25-26 maggio dalle 12:00 alle 24:00

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