"Pomo Fest", a Nocera Inferiore si celebra il San Marzano

L'evento si terrà dal 18 al 21 settembre 2025, partecipano grossi nomi della cucina napoletana

Redazione Sarno 24 12/09/2025 0

A Nocera Inferiore la prima edizione del Pomo Fest, festival interamente dedicato al pomodoro San Marzano. L'evento, che celebra l'oro rosso dell'Agro nocerino-sarnese, si terrà dal 18 al 21 settembre 2025. Oltre 30 spazi espositivi con aziende conserviere, ristoranti, pizzerie, pasticcerie e bar pronti ad offrire piatti a base di pomodoro; inoltre, masterclass, talk e iniziative che vedranno, tra gli altri, coinvolti anche grossi esponenti della cucina napoletana e nazionale come Errico Porzio, Gino Sorbillo, Poppella, Peppe Di Napoli, Fabio Di Giovanni e tanti altri.

Così commenta il sindaco, Paolo De Maio: “Siamo entusiasti di accogliere la realizzazione di questo importante evento per la nostra città. Ci stiamo impegnando con dedizione per garantire il massimo successo. Speriamo in una larga partecipazione dei cittadini”.

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Annamaria Parlato 28/10/2024

Sant'Egidio, i piatti dell'osteria 'O Ciardin nutrono anche l'anima

Da un oste ci si può aspettare molto più di un semplice servizio al tavolo. Un oste è, prima di tutto, un padrone di casa, un anfitrione capace di creare un'atmosfera calorosa e accogliente, che fa sentire ogni cliente come un ospite speciale. È quella figura che sa mettere a proprio agio, pronto a spiegare ogni piatto del menù, a raccontare l’origine degli ingredienti, le storie che stanno dietro le ricette, persino qualche aneddoto sul locale e sui clienti abituali.

L’oste ideale conosce a fondo il territorio e i suoi sapori; è appassionato del proprio mestiere e ama condividere questa passione con chiunque entri nel locale. Sa consigliare il vino giusto per ogni portata, spiegare perché quella ricetta si prepara in un certo modo, raccontare la stagionalità e la provenienza degli ingredienti. Spesso, questo fa la differenza nell’esperienza del cliente, che non vive solo un pasto ma un piccolo viaggio culturale attraverso la tradizione e la storia del luogo.

Inoltre, l'oste sa quando fare un passo indietro per lasciare che i clienti si godano il loro momento di tranquillità e quando invece unirsi al tavolo per uno scambio di battute o due chiacchiere. È una figura che rappresenta l'autenticità, qualcuno che non ha paura di mostrarsi genuino e che vede nel suo lavoro una vocazione, non solo un impiego. Ci si può aspettare, insomma, qualcuno che sappia dosare discrezione e presenza, che abbia una profonda conoscenza del cibo e del vino, che sia capace di creare una connessione tra il cliente, il locale e la cultura del luogo.

Luigi Gargano, proprietario dell’osteria ‘O Ciardin sin dal 2013, nel borgo antico di Sant’Egidio del Monte Albino, incarna tutto ciò. Egli non è solo un gestore ma un ambasciatore della cultura locale e dei sapori autentici. Coniuga il rispetto per le tradizioni con una visione che sa rispondere ai gusti e alle esigenze di oggi, come la scelta di ingredienti sostenibili, l’attenzione alle intolleranze e la valorizzazione delle eccellenze del territorio. L’Osteria, a due passi dalla chiesa della Madonna delle Grazie, le cui prime notizie risalgono al 1639, anche se l’assetto attuale risale alla fine del 1700, è un locale che si contraddistingue per la sua accuratezza, la sua nobile rusticità e il contesto paesaggistico nel quale è immersa, ossia un incantevole giardino di arance e agrumi locali, il cui accesso è veicolato dal cortile di Palzzo Ferrajoli della Cappella, architettura gentilizia e colta del XVIII secolo.

Il locale sembra una finestra aperta sul passato, dove il profumo di cibo genuino e storie antiche si intrecciano. Luigi qui accoglie i visitatori con un sorriso sempre sincero e un menù che diventa pura espressione del territorio sangiliano. Mentre serve un piatto di fusilli sangiliani all’uovo, racconta delle ricette tramandate oralmente, custodite come piccoli tesori. "Qui - dice con una punta di orgoglio - non troverai niente che non venga da questi monti o da queste terre. Dalla carne al vino, passando per le verdure e gli aromi, tutto è frutto della fatica e dell’amore della gente del posto".

Poi parla dei suoi clienti, dei volti degli amici che conosce da anni e dei nuovi visitatori che vengono a cercare un pezzo di autenticità. "O Ciardin - spiega - è il cuore pulsante della comunità: non è solo un luogo dove si mangia, ma qui si condividono risate, racconti e legami che sopravvivono al tempo. In un mondo che va di fretta, qui ci si può fermare, assaporare e ricordare chi siamo e siamo stati".

Ogni angolo dell'osteria racconta un aneddoto: i dipinti alle pareti di un’artista di Sant’Antonio Abate narrano i mestieri, i monumenti, la storia del borgo e delle persone che lo hanno vissuto. Mentre Luigi esterna la sua vivace personalità (una laurea in Economia del Turismo  e tanti validi progetti nel cassetto), si capisce che l’osteria non è solo un lavoro per lui, ma una missione: tenere vive le tradizioni e portare avanti l’anima di Sant’Egidio per le generazioni future. Gli ingredienti della sua cucina sono quasi sempre a chilometro zero e di stagione, scelti con cura da produttori locali per garantire un’alta qualità e un’impronta autentica. Il trend si allontana dalle sofisticazioni della cucina gourmet, puntando invece su porzioni più generose, ingredienti riconoscibili e un’ambiente senza fronzoli, ma accogliente.

Al centro c’è anche l’idea di osteria come spazio sociale, dove il cibo è un pretesto per ritrovarsi, per scambiarsi opinioni e per sentirsi parte di una comunità. La clientela che apprezza ‘O Ciardin è variegata: si va dagli anziani, che vi trovano i sapori della loro infanzia, ai giovani, sempre più alla ricerca di esperienze culinarie autentiche e sostenibili. I piatti di questa Osteria, presente da anni nella Guida Osterie d’Italia di Slow Food, raccontano storie di tradizione, fatica e cultura locale. Sono come pagine di un manuale che spiega il legame con la terra, le stagioni e i saperi contadini. Qui il cibo è semplice ma carico di significato: rappresenta il comfort e l'accoglienza, un invito a rallentare e a riscoprire i sapori genuini.

I piatti non sono mai troppo elaborati; sono fatti per saziare, scaldare e rievocare ricordi familiari, come un abbraccio. Zuppe e minestre contadine, spesso a base di legumi o verdure di stagione, carni brasate, grigliate o in umido, contorni di verdure fresche o ripassate, e magari delle patate al forno profumate con erbette di montagna, costituiscono le portate principali del menù, arricchito da paste fatte a mano, un po' di pescato della Costiera Amalfitana, selvaggina e dolci della casa. Il pane è immancabile, spesso fatto in casa o proveniente da forni locali, ed è usato per accompagnare tutto il pasto, raccogliendo sughi e condimenti fino all'ultimo boccone o degustato in purezza con l’olio extravergine d’oliva biologico. E, naturalmente, si possono gustare formaggi locali e salumi artigianali, serviti con marmellate, confetture, mostarde e miele per esaltarne i sapori. L’Osteria propone anche una selezione di vini campani e birre artigianali, accentuando ulteriormente il legame con il territorio.

Si consiglia l’assaggio, in questa stagione, della vellutata di castagne con sciuanelle (listarelle di polenta fritta con lo strutto che fungeva da copertura delle pastiere di maccheroni cotte nel forno a legna il Sabato Santo, per evitare che si bruciassero in superficie) e legnasanta (cachi), gli spaghetti cacio e pepe con zeste di arancia di Sant’Egidio, un vera prelibatezza, lo stoccafisso o meglio il curuniello (filetto) in umido con piennolo giallo e peperoncino, i funghi chiodini saltati in padella, la torta di ricotta e limoni di Sant’Egidio infornata e la caprese alle mandorle con crema inglese al rosmarino e gelato al fiordilatte. Sono piatti capaci di nutrire non solo il corpo, ma anche l’anima, nell'ombra calda dell’osteria si posan gli affanni e svanisce la via, tra pane, vino e silenzi d'argento.

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Redazione Sarno 24 07/08/2025

Baccalà Village a Nocera Superiore nei giorni 8 e 9 agosto 2025

Dopo il grande successo dell’edizione di Sarno, che ha inaugurato il tour 2025 con numeri da record e tanto entusiasmo, il Baccalà Village fa tappa a Nocera Superiore nei giorni 8 e 9 agosto, nel cuore di una delle aree archeologiche più affascinanti della Campania.

Ideato dallo chef "scellato" Antonio Peluso, fondatore della rinomata "Locanda del Baccalà" di Marcianise (CE), il format continua a portare in giro per la regione un’esperienza unica che unisce cibo, cultura e spettacolo, e che anche quest’anno porterà in scena uno dei grandi protagonisti della cucina mediterranea: il baccalà.

Tre giorni dedicati al gusto e alla convivialità nella suggestiva cornice del Parco Archeologico di Nocera Superiore: una location straordinaria dove enogastronomia, musica dal vivo e tradizione popolare si fondono in un viaggio sensoriale per tutte le età.

INFORMAZIONI E PROGRAMMA

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Annamaria Parlato 14/08/2025

Nocera Superiore, la palatella con "mpupata" è tradizione di Ferragosto

Alla vigilia del Ferragosto, la notte tra il 14 e il 15, le strade che conducono al Santuario di Materdomini si animano di pellegrini che, tra canti popolari e preghiere, onorano la Madonna Bruna, così chiamata per il colore scuro dell’icona miracolosa ritrovata grazie a una visione. La leggenda narra che, nel 1041, una contadina umile, conosciuta come Caramari, ricevette una serie di sogni in cui la Madonna le dette istruzioni precise: sotto una quercia, dove inconsapevolmente riposava, sarebbe stata nascosta la sua immagine sacra.

Inizialmente scettici, i compaesani trovarono solo una cisterna vuota sotto l’albero; la donna, punita dalla Vergine, divenne cieca, ma in una nuova visione le fu mostrato un anello come prova tangibile dell’intervento divino. L’anello fu ritrovato, e scavando ulteriormente emerse un quadro perfettamente conservato della Madonna col Bambino, tra due lastre marmoree; Caramari riacquistò immediatamente la vista. Questo miracolo diede origine alla devozione alla Madonna Bruna e alla costruzione della basilica nel 1061.

In questo contesto di fede e tradizione si inserisce la palatella, un filone di pane che da sempre accompagna il pellegrinaggio a Materdomini. Questo pane farcito, preparato dai forni locali, diventava così un segno tangibile di appartenenza, capace di accompagnare il cammino dei pellegrini e di riunire le famiglie in un momento di festa collettiva, dove il sacro e il profano si intrecciavano senza contraddirsi.

Oggi si prepara con farina 00, acqua, lievito e sale, ma fino agli anni Cinquanta veniva realizzata con farine non raffinate, integrali e lievito madre, più rustiche e nutrienti, perfette per sostenere i camminatori lungo il tragitto. L’impasto, ancora incordato, viene fatto rilassare per 15 minuti; si procede poi alla formatura in pezzature da 250 grammi ciascuna, modellate nella tipica forma “a caramella”. Le palatelle vengono sistemate nei mastelli per una lievitazione di circa due ore, quindi infornate dopo un taglio diagonale sulla superficie, utile a favorire lo sviluppo in cottura e a donare l’aspetto caratteristico.

La farcitura tradizionale con la mpupata è un inno alla cucina povera ma saporita: melanzane sott’aceto e alici di Cetara dissalate. Un abbinamento che rispetta il digiuno di carne imposto alla vigilia dell’Assunzione, ma che allo stesso tempo regala energia e gusto. La farcitura viene preparata con melanzane tagliate e bollite in acqua e aceto di vino rosso, poi strizzate e conservate sott’olio con origano, aglio e peperoncino per almeno un giorno, e alici di Cetara dissalate e messe sott’olio, a volte con un tocco di aromi.

La preparazione, semplice e simbolica, consiste nell’aprire la palatella longitudinalmente, adagiarvi le alici e sovrapporre le melanzane, creando un pasto frugale ma saporito. Durante la notte del pellegrinaggio, il pane viene consumato insieme a bancarelle di “per’ e ’o musso”, vino con percoche e “mellon ’e fuoc” (anguria), tra tammorre e preghiere, evocando un'antica liturgia popolare. Ancora oggi, la palatella accompagna Ferragosto non solo a Materdomini ma anche nelle case e sulle spiagge, mantenendo viva la storia di fede, speranza e comunità che ha avuto origine nel sogno di Caramari.

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