Nocera Superiore, la palatella con "mpupata" è tradizione di Ferragosto
Un viaggio tra sapori antichi e fede popolare a Materdomini, nel cuore della città
Annamaria Parlato 14/08/2025 0
Alla vigilia del Ferragosto, la notte tra il 14 e il 15, le strade che conducono al Santuario di Materdomini si animano di pellegrini che, tra canti popolari e preghiere, onorano la Madonna Bruna, così chiamata per il colore scuro dell’icona miracolosa ritrovata grazie a una visione. La leggenda narra che, nel 1041, una contadina umile, conosciuta come Caramari, ricevette una serie di sogni in cui la Madonna le dette istruzioni precise: sotto una quercia, dove inconsapevolmente riposava, sarebbe stata nascosta la sua immagine sacra.
Inizialmente scettici, i compaesani trovarono solo una cisterna vuota sotto l’albero; la donna, punita dalla Vergine, divenne cieca, ma in una nuova visione le fu mostrato un anello come prova tangibile dell’intervento divino. L’anello fu ritrovato, e scavando ulteriormente emerse un quadro perfettamente conservato della Madonna col Bambino, tra due lastre marmoree; Caramari riacquistò immediatamente la vista. Questo miracolo diede origine alla devozione alla Madonna Bruna e alla costruzione della basilica nel 1061.
In questo contesto di fede e tradizione si inserisce la palatella, un filone di pane che da sempre accompagna il pellegrinaggio a Materdomini. Questo pane farcito, preparato dai forni locali, diventava così un segno tangibile di appartenenza, capace di accompagnare il cammino dei pellegrini e di riunire le famiglie in un momento di festa collettiva, dove il sacro e il profano si intrecciavano senza contraddirsi.
Oggi si prepara con farina 00, acqua, lievito e sale, ma fino agli anni Cinquanta veniva realizzata con farine non raffinate, integrali e lievito madre, più rustiche e nutrienti, perfette per sostenere i camminatori lungo il tragitto. L’impasto, ancora incordato, viene fatto rilassare per 15 minuti; si procede poi alla formatura in pezzature da 250 grammi ciascuna, modellate nella tipica forma “a caramella”. Le palatelle vengono sistemate nei mastelli per una lievitazione di circa due ore, quindi infornate dopo un taglio diagonale sulla superficie, utile a favorire lo sviluppo in cottura e a donare l’aspetto caratteristico.
La farcitura tradizionale con la mpupata è un inno alla cucina povera ma saporita: melanzane sott’aceto e alici di Cetara dissalate. Un abbinamento che rispetta il digiuno di carne imposto alla vigilia dell’Assunzione, ma che allo stesso tempo regala energia e gusto. La farcitura viene preparata con melanzane tagliate e bollite in acqua e aceto di vino rosso, poi strizzate e conservate sott’olio con origano, aglio e peperoncino per almeno un giorno, e alici di Cetara dissalate e messe sott’olio, a volte con un tocco di aromi.
La preparazione, semplice e simbolica, consiste nell’aprire la palatella longitudinalmente, adagiarvi le alici e sovrapporre le melanzane, creando un pasto frugale ma saporito. Durante la notte del pellegrinaggio, il pane viene consumato insieme a bancarelle di “per’ e ’o musso”, vino con percoche e “mellon ’e fuoc” (anguria), tra tammorre e preghiere, evocando un'antica liturgia popolare. Ancora oggi, la palatella accompagna Ferragosto non solo a Materdomini ma anche nelle case e sulle spiagge, mantenendo viva la storia di fede, speranza e comunità che ha avuto origine nel sogno di Caramari.
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Annamaria Parlato 01/07/2025
La prestigiosa cantina Marisa Cuomo "raccontata" al WIP di Nocera Inferiore
Una serata che ha saputo incantare occhi, palato e spirito quella di martedì 24 giugno al WIP Burger & Pizza di Nocera Inferiore, in occasione della nuova edizione di "Sorsi & Morsi". Un format consolidato, che ha visto protagonisti i sapori autentici della Divina Costiera e dei Monti Lattari, sapientemente abbinati ai vini della prestigiosa cantina Marisa Cuomo. L’evento ha registrato il tutto esaurito, attirando appassionati, operatori del settore e volti noti della gastronomia campana.
Protagonista assoluta della serata la cantina Marisa Cuomo, tra le più iconiche d’Italia, guidata da Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli, consorti nella vita e imprenditori vitivinicoli che hanno reso celebre Furore e la Costa d’Amalfi nel mondo. Ad accoglierli Nello Ferrigno, storico giornalista nocerino, media partner della serata per Inprimanews, mentre la presentazione è stata affidata al giornalista e sommelier Gaetano Cataldo, fondatore di Identità Mediterranea e Miglior Sommelier al Merano Wine Festival, che ha condotto una degustazione emozionante, raccontando con passione i vini e i territori di provenienza, senza tralasciare aneddoti, curiosità e motivazioni degli abbinamenti.
Il menù ha esordito con un antipasto che ha celebrato la tradizione lattiero-casearia e norcina: treccia di fiordilatte “Fior d’Agerola” firmato da Gennaro Fusco, impreziosito da olio extravergine d’oliva carpellese Madonna dell’Olivo e zeste di Sfusato Amalfitano, accompagnato dai salumi artigianali di Silvio Imperati (Cardone Salumi Tipici Agerolesi) e Salvatore Calabrese (Macelleria del Centro Storico di San Marzano sul Sarno), tra cui una sontuosa soppressata, un raffinato culatello e un insolito prosciutto di picanha. A completare, il pane biscottato, rustico e marinaro, simbolo della panificazione agerolese, da bagnare al momento nel tipico “sponzapane” in ceramica.
La degustazione di pizze ha inaugurato l’anima più creativa della serata grazie alla bravura del maestro pizzaiolo Riccardo Faiella. Il padellino Lattara ha presentato un impasto di grani selezionati, farcito con provolone del monaco, caciotta di capra, fiordilatte di Agerola, pomodorino di Corbara semi-dry, pesto di maggiorana, basilico e timo limonato, con olio evo Itran’s del Frantoio Madonna dell’Olivo di Antonino Mennella. In abbinamento il Furore Bianco Costa d’Amalfi DOC 2024, un vino luminoso, con profumi di ginestra, erbe della macchia mediterranea e note salmastre che ricordano i venti del mare. Al palato è teso, minerale, con un finale sapido che accompagna con eleganza i formaggi e le erbe aromatiche.
La seconda pizza, Naucratica Napoletana, ha previsto un impasto tipo "0" alle foglie di mirto e limone, guarnito con crema di pomodoro San Marzano abbrustolito, besciamella all’aglio, origano in tre consistenze e filetto di acciuga di Cetara, con olio evo Rotondella. A completare il trittico, la Santa Trofimena: impasto "0" al cacao, ristretto di pomodoro fiascone Re Umberto, crema e filetti di melanzane arrostite, mousse di provolone del monaco, basilico e pepe nero, con olio evo carpellese. Le pizze sono state abbinate ancora al Furore Bianco, che ha esaltato le sapidità marine e i contrasti vegetali.
Il primo piatto dello chef Rega, Scarpariello a Mare, ha rivisitato la ricetta classica in chiave costiera con fusillo sangiliano di Francesco Pepe, pomodorino di Corbara, acciughe di Cetara, basilico e scorzetta di limone sfusato di Amalfi. In accompagnamento il Rosato Costa d’Amalfi DOC 2024, da Aglianico, Piedirosso e Tintore: un vino di colore rosa cerasuolo intenso, dai profumi di frutti di bosco e macchia mediterranea, con una beva fresca, salina, vibrante, perfetta per piatti iodati ma eleganti come questo.
Il secondo piatto, attenzionato sempre da Alfonso Rega, ha reso omaggio alla tradizione contadina e costiera: il Sarchiapone di Atrani imbottito col salsiccione (la pezzentella) di Silvio Imperati. In abbinamento il Furore Rosso Costa d’Amalfi DOC 2024, blend di aglianico, piedirosso e tintore, affinato parzialmente in legno. Un rosso profondo e strutturato, con sentori di ciliegia matura, tabacco e spezie dolci. Al gusto è caldo, avvolgente, con tannini vellutati e grande persistenza, perfetto per sostenere la succulenza del piatto.
Il dessert, firmato dai fratelli Gianfranco e Lello Romano del Gran Caffè Romano di Solofra, ha proposto una delicata versione della delizia al limone, la Tetta di Venere”, con una fetta del pluripremiato pandoro servito con crema alla vaniglia, accompagnato dal liquore artigianale Amaro delle Monache, prodotto da Teodoro Stoduto a Torraca. A chiudere la serata, un omaggio speciale: una bottiglia magnum di Mosaico per Procida è stata donata alla giornalista Annamaria Parlato, direttore responsabile della testata online Sarno24.it, e a Stella Marotta, miglior sommelier della Campania.
Ferraioli ha ricordato con emozione il progetto visionario che ha dato vita al vino simbolo della Capitale Italiana della Cultura, realizzato da Gaetano Cataldo e Roberto Cipresso, e consegnato a Papa Francesco. Tra gli ospiti in sala Alessandro Condurro, erede della storica pizzeria Da Michele, Antonio Mennella del Frantoio Madonna dell’Olivo, Prisco Sammartino di Officine Alkemiche, Carlo D’Amato per I Sapori di Corbara, insieme a tanti affezionati del WIP e giornalisti gastronomici. Impeccabile il servizio di sala, guidato dal direttore Pierpaolo Strino e dal suo staff.
Marisa Cuomo ha dichiarato: “Questa serata ci ha emozionati: vedere i nostri vini raccontati e vissuti in questo modo, tra piatti ispirati e pubblico attento, è il miglior riconoscimento possibile. Abbiamo sentito l’abbraccio della Campania più autentica”. Domenico Fortino e Lorenzo Oliva, fondatori del WIP, hanno commentato con soddisfazione: “Crediamo fortemente nel format ‘Sorsi & Morsi’, perché è uno strumento di racconto del territorio. Ringraziamo Gaetano Cataldo, Identità Mediterranea e tutti i partner: senza condivisione non ci sarebbe cultura, senza territorio non ci sarebbe gusto”.
E proprio Gennaro Fusco, maestro casaro, ha aggiunto: “Il latte racconta la sua terra. E quando lo si mette in sinergia con salumi, pane, vino e passione, nascono momenti come questo, che celebrano la memoria e l’identità della Costiera”. Poichè Cataldo ha sostenuto che “la cultura disseta, non isola”, da questo scambio enogastronomico tra territori si è potuto evincere con certezza che WIP sia diventato un autentico salotto gastrosofico, capace di coniugare tradizione, visione, etica e convivialità, diventando punto di riferimento per artigiani del gusto, intenditori e appassionati. La Campania, ancora una volta, si è raccontata a tavola.
Redazione Sarno 24 10/06/2024
Sant'Egidio del Monte Albino accoglie il progetto "Di Food in Tour"
Sant'Egidio del Monte Albino è un comune che conserva ancora molte tracce del suo passato storico. Le chiese, i palazzi antichi e i resti archeologici sono testimonianze tangibili della sua lunga e ricca storia. La comunità locale continua a valorizzare il proprio patrimonio culturale, mantenendo vive tradizioni di un tempo e promuovendo il turismo culturale e rurale.
Domenica 16 giugno, dalle 9:30, il format "Di Food in Tour", lanciato dal CTG - Gruppo Picentia, prosegue con la seconda tappa dell’Agro Nocerino-Sarnese (la prima era stata Corbara) e questa volta anche con l’appoggio e il riconoscimento della Provincia di Salerno.
Dopo i saluti dell'Amministrazione comunale, rappresentata dal Sindaco, Antonio La Mura, e del Presidente della Pro Loco, Salvatore Ferraioli, i visitatori saranno accolti, presso la sede della Pro Loco, con un caffè di benvenuto, una spremuta con le tipiche arance sangiliane e una dolce sorpresa, in collaborazione con la Pasticceria "La Montalbino". Partendo da Palazzo Ferrajoli della Cappella, con i suoi meravigliosi giardini, ci si dirigerà verso la chiesa della Madonna delle Grazie.
A seguire, la gastronomia la farà da padrona, con la produzione di prelibati latticini presso lo storico Caseificio Saturno, eccellenza del territorio, e con la lavorazione della pasta a mano (in particolare dei rinomati fusilli e tagliolini all'uovo) del micropastificio "Come tradizione". Subito dopo si proseguirà per il centro storico, ammirando i suoi cortili e le architetture gentilizie. Proseguendo, ci si incamminerà verso il ristorante, con annesso laboratorio artigianale della pasta, "Fusillo Sangiliano", in piazza Giovanni Paolo II, per degustare specialità locali e campane.
Dopo pranzo, ci sarà modo di ammirare e approfondire la conoscenza della Sant'Egidio più antica, quella di origini romane, le cui testimonianze sparse sono notevoli e numerose: la Villa Romana, la Fontana Helvius, la Stele Pomponia Tyche, l'Acquedotto Romano e per concludere l'Abbazia di Santa Maria Maddalena in Armillis. Prima di fare rientro a casa, il tour terminerà con la visita ai Limoneti della Famiglia Parlato, per conoscere le varietà di agrumi che sin dalla fin del XVIII secolo hanno soppiantato le preesistenti colture locali.
Annamaria Parlato 26/12/2024
La minestra maritata dell'Agro nocerino è un "cult" di Santo Stefano
La minestra maritata, o “pignato grasso”, è uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica campana e in particolare dell’Agro nocerino-sarnese, un autentico tesoro culinario che racchiude storia, cultura e sapori unici. Questo piatto, il cui nome letteralmente significa “minestra sposata”, prende il nome dall’armoniosa combinazione di carne e verdure, un connubio che si rifà all’antica arte della cucina contadina. La storia è lunga e affascinante, con radici che risalgono all’epoca romana.
La ricetta originale deriverebbe da un piatto noto come “minutal”, una preparazione a base di carne e verdure diffusa nell’antica Roma. Durante il periodo aragonese a Napoli, il piatto subì l’influenza dell’olla podrida spagnola, un ricco stufato di carne e legumi che condivideva la filosofia di combinare ingredienti diversi per creare un piatto unico e sostanzioso. Arricchitasi di profumi e tecniche culinarie importate dagli spagnoli, la minestra maritata divenne più raffinata e si consolidò come elemento distintivo della cucina campana.
Questo pasto unico era originariamente preparato per le occasioni speciali, in particolare per Natale e Pasqua, quando le famiglie si riunivano per celebrare le festività. La sua complessità e ricchezza di ingredienti riflettevano l’abbondanza e il calore delle tradizioni familiari. La minestra maritata ha trovato spazio persino nella letteratura tra i secoli XIII e XVIII (Pulci, Cervantes, Latini, Casanova), contribuendo a raccontare la cultura e le tradizioni campane. Anche in testi meno noti è stata citata come esempio di come il cibo possa riflettere il legame profondo tra terra, tradizioni e memoria collettiva.
Il cuore della ricetta risiede nella perfetta unione tra carne e verdure, che prevede una selezione di tagli specifici (maiale e parti grasse, manzo, pollo o gallina) e un assortimento di ortaggi a foglia, ognuno dei quali contribuisce a creare un’esplosione di sapori. Ogni tipo di carne viene cotto lentamente per ottenere un brodo ricco e saporito, che diventa la base del piatto. Le verdure variano a seconda della stagione e della disponibilità, ma la tradizione dell’Agro privilegia: scarola, bietola, cicoria, catalogna, broccoletti, verza, torzella (una varietà antica di cavolo tipica della Campania, dal sapore intenso e leggermente amarognolo).
Queste verdure, accuratamente lavate e lessate, vengono unite alla carne per completare la minestra. Le carni si cuociono in abbondante acqua con cipolla, sedano e carota, un po' di lardo, formando un brodo ricco e profumato. Le verdure sono aggiunte al liquido di cottura delle carne per preservare i loro sapori distinti. Il tutto viene fatto sobbollire, per consentire ai sapori di amalgamarsi assieme a qualche scorza di parmigiano. Un filo d’olio extravergine d’oliva e una spolverata di formaggio e pepe a completano il piatto. La minestra è spesso accompagnata da pane raffermo tostato o dai tipici scagliuozzi di polenta fritta.
Oggi, è ancora un piatto molto amato, soprattutto nelle famiglie che custodiscono gelosamente le antiche ricette tramandate di generazione in generazione. Molti ristoranti e trattorie dell’Agro propongono questa pietanza nei loro menù, permettendo anche ai turisti di scoprire un autentico sapore della tradizione. Pur essendo profondamente legata al territorio campano, la minestra maritata ha conquistato il palato di molti oltre i confini regionali. Alcune varianti moderne includono ingredienti innovativi o semplificano la ricetta per adattarsi ai ritmi della vita contemporanea, ma il cuore del piatto rimane invariato: l’equilibrio perfetto tra carne e verdure.
Per accompagnare la minestra, è consigliabile scegliere un vino campano che ne esalti i sapori intensi senza sovrastarli. Tra le opzioni migliori: Aglianico del Taburno, un rosso strutturato e ricco di tannini che si sposa perfettamente con la complessità del piatto, bilanciando la grassezza della carne e la mineralità delle verdure; Piedirosso, meno tannico dell’Aglianico, ma con una buona acidità e note fruttate che si combinano bene con il sapore rustico e leggermente amarognolo delle verdure; Greco di Tufo per chi preferisce un vino bianco, che con la sua freschezza e le sue note minerali può offrire un interessante contrasto ai sapori ricchi della minestra maritata.