La prestigiosa cantina Marisa Cuomo "raccontata" al WIP di Nocera Inferiore

Viaggio sensoriale tra i sapori dei Monti Lattari e i vini d'eccellenza della Costa d’Amalfi

Annamaria Parlato 01/07/2025 0

Una serata che ha saputo incantare occhi, palato e spirito quella di martedì 24 giugno al WIP Burger & Pizza di Nocera Inferiore, in occasione della nuova edizione di "Sorsi & Morsi". Un format consolidato, che ha visto protagonisti i sapori autentici della Divina Costiera e dei Monti Lattari, sapientemente abbinati ai vini della prestigiosa cantina Marisa Cuomo. L’evento ha registrato il tutto esaurito, attirando appassionati, operatori del settore e volti noti della gastronomia campana.

Protagonista assoluta della serata la cantina Marisa Cuomo, tra le più iconiche d’Italia, guidata da Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli, consorti nella vita e imprenditori vitivinicoli che hanno reso celebre Furore e la Costa d’Amalfi nel mondo. Ad accoglierli Nello Ferrigno, storico giornalista nocerino, media partner della serata per Inprimanews, mentre la presentazione è stata affidata al giornalista e sommelier Gaetano Cataldo, fondatore di Identità Mediterranea e Miglior Sommelier al Merano Wine Festival, che ha condotto una degustazione emozionante, raccontando con passione i vini e i territori di provenienza, senza tralasciare aneddoti, curiosità e motivazioni degli abbinamenti.

Il menù ha esordito con un antipasto che ha celebrato la tradizione lattiero-casearia e norcina: treccia di fiordilatte “Fior d’Agerola” firmato da Gennaro Fusco, impreziosito da olio extravergine d’oliva carpellese Madonna dell’Olivo e zeste di Sfusato Amalfitano, accompagnato dai salumi artigianali di Silvio Imperati (Cardone Salumi Tipici Agerolesi) e Salvatore Calabrese (Macelleria del Centro Storico di San Marzano sul Sarno), tra cui una sontuosa soppressata, un raffinato culatello e un insolito prosciutto di picanha. A completare, il pane biscottato, rustico e marinaro, simbolo della panificazione agerolese, da bagnare al momento nel tipico “sponzapane” in ceramica.

La degustazione di pizze ha inaugurato l’anima più creativa della serata grazie alla bravura del maestro pizzaiolo Riccardo Faiella. Il padellino Lattara ha presentato un impasto di grani selezionati, farcito con provolone del monaco, caciotta di capra, fiordilatte di Agerola, pomodorino di Corbara semi-dry, pesto di maggiorana, basilico e timo limonato, con olio evo Itran’s del Frantoio Madonna dell’Olivo di Antonino Mennella. In abbinamento il Furore Bianco Costa d’Amalfi DOC 2024, un vino luminoso, con profumi di ginestra, erbe della macchia mediterranea e note salmastre che ricordano i venti del mare. Al palato è teso, minerale, con un finale sapido che accompagna con eleganza i formaggi e le erbe aromatiche.

La seconda pizza, Naucratica Napoletana, ha previsto un impasto tipo "0" alle foglie di mirto e limone, guarnito con crema di pomodoro San Marzano abbrustolito, besciamella all’aglio, origano in tre consistenze e filetto di acciuga di Cetara, con olio evo Rotondella. A completare il trittico, la Santa Trofimena: impasto "0" al cacao, ristretto di pomodoro fiascone Re Umberto, crema e filetti di melanzane arrostite, mousse di provolone del monaco, basilico e pepe nero, con olio evo carpellese. Le pizze sono state abbinate ancora al Furore Bianco, che ha esaltato le sapidità marine e i contrasti vegetali.

Il primo piatto dello chef Rega, Scarpariello a Mare, ha rivisitato la ricetta classica in chiave costiera con fusillo sangiliano di Francesco Pepe, pomodorino di Corbara, acciughe di Cetara, basilico e scorzetta di limone sfusato di Amalfi. In accompagnamento il Rosato Costa d’Amalfi DOC 2024, da Aglianico, Piedirosso e Tintore: un vino di colore rosa cerasuolo intenso, dai profumi di frutti di bosco e macchia mediterranea, con una beva fresca, salina, vibrante, perfetta per piatti iodati ma eleganti come questo.

Il secondo piatto, attenzionato sempre da Alfonso Rega, ha reso omaggio alla tradizione contadina e costiera: il Sarchiapone di Atrani imbottito col salsiccione (la pezzentella) di Silvio Imperati. In abbinamento il Furore Rosso Costa d’Amalfi DOC 2024, blend di aglianico, piedirosso e tintore, affinato parzialmente in legno. Un rosso profondo e strutturato, con sentori di ciliegia matura, tabacco e spezie dolci. Al gusto è caldo, avvolgente, con tannini vellutati e grande persistenza, perfetto per sostenere la succulenza del piatto.

Il dessert, firmato dai fratelli Gianfranco e Lello Romano del Gran Caffè Romano di Solofra, ha proposto una delicata versione della delizia al limone, la Tetta di Venere”, con una fetta del pluripremiato pandoro servito con crema alla vaniglia, accompagnato dal liquore artigianale Amaro delle Monache, prodotto da Teodoro Stoduto a Torraca. A chiudere la serata, un omaggio speciale: una bottiglia magnum di Mosaico per Procida è stata donata alla giornalista Annamaria Parlato, direttore responsabile della testata online Sarno24.it, e a Stella Marotta, miglior sommelier della Campania.

Ferraioli ha ricordato con emozione il progetto visionario che ha dato vita al vino simbolo della Capitale Italiana della Cultura, realizzato da Gaetano Cataldo e Roberto Cipresso, e consegnato a Papa Francesco. Tra gli ospiti in sala Alessandro Condurro, erede della storica pizzeria Da Michele, Antonio Mennella del Frantoio Madonna dell’Olivo, Prisco Sammartino di Officine Alkemiche, Carlo D’Amato per I Sapori di Corbara, insieme a tanti affezionati del WIP e giornalisti gastronomici. Impeccabile il servizio di sala, guidato dal direttore Pierpaolo Strino e dal suo staff.

Marisa Cuomo ha dichiarato: “Questa serata ci ha emozionati: vedere i nostri vini raccontati e vissuti in questo modo, tra piatti ispirati e pubblico attento, è il miglior riconoscimento possibile. Abbiamo sentito l’abbraccio della Campania più autentica”. Domenico Fortino e Lorenzo Oliva, fondatori del WIP, hanno commentato con soddisfazione: “Crediamo fortemente nel format ‘Sorsi & Morsi’, perché è uno strumento di racconto del territorio. Ringraziamo Gaetano Cataldo, Identità Mediterranea e tutti i partner: senza condivisione non ci sarebbe cultura, senza territorio non ci sarebbe gusto”.

E proprio Gennaro Fusco, maestro casaro, ha aggiunto: “Il latte racconta la sua terra. E quando lo si mette in sinergia con salumi, pane, vino e passione, nascono momenti come questo, che celebrano la memoria e l’identità della Costiera”. Poichè Cataldo ha sostenuto che “la cultura disseta, non isola”, da questo scambio enogastronomico tra territori si è potuto evincere con certezza che WIP sia diventato un autentico salotto gastrosofico, capace di coniugare tradizione, visione, etica e convivialità, diventando punto di riferimento per artigiani del gusto, intenditori e appassionati. La Campania, ancora una volta, si è raccontata a tavola.

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Redazione Sarno 24 17/03/2025

Pompei, al "Caupona" un menù speciale per Plinio il Vecchio e Pomponiano

Grande successo per l'evento "Alla scoperta di Plinio il Vecchio", un viaggio unico tra storia e gastronomia per rivivere l’ultima impresa di Plinio il Vecchio, comandante della prima flotta imperiale, e il suo legame con il senatore Pomponiano. La serata, impreziosita dalla presenza dell'ing. Flavio Russo, esperto di storia romana, si è tenuta presso l’archeo-ristorante Caupona di Pompei, lo scorso 14 marzo.

Apertura affidata alla proiezione del documentario "79 d.C. L'ultimo comando di Plinio. Da Miseno rotta su Pompei", poi spazio all'esperienza sensoriale con il menù di Pomponiano, ispirato alla cucina dell’antica Pompei: pollo selvatico ripieno di funghi porcini, pancetta, spezie orientali e asparagi saltati con cannella, noci tostate e datteri (antipasto); zuppa di orzo, farro, cavolfiore, zafferano, erbe aromatiche e panis croccante (primo); capocollo di maiale brasato al Falerno con pepe, cumino, coriandolo, alloro, rosmarino e stufato di cicoria allo zenzero (secondo); ricotta di pecora con miele, carruba e fichi (dolce).

Le portate inserite nel menù dedicato al senatore stabiese sono state ricostruite grazie al lavoro dello studioso Francesco Di Martino, patron dell’archeo-ristorante Caupona, con la collaborazione di archeologi e storici. La preparazione dei piatti, invece, è stata affidata agli executive chef Aldo Nappo, Nicola Cesarano ed Emilio Cortiglia, che hanno combinato competenze storiche e culinarie.

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Annamaria Parlato 26/12/2024

La minestra maritata dell'Agro nocerino è un "cult" di Santo Stefano

La minestra maritata, o “pignato grasso”, è uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica campana e in particolare dell’Agro nocerino-sarnese, un autentico tesoro culinario che racchiude storia, cultura e sapori unici. Questo piatto, il cui nome letteralmente significa “minestra sposata”, prende il nome dall’armoniosa combinazione di carne e verdure, un connubio che si rifà all’antica arte della cucina contadina. La storia è lunga e affascinante, con radici che risalgono all’epoca romana.

La ricetta originale deriverebbe da un piatto noto come “minutal”, una preparazione a base di carne e verdure diffusa nell’antica Roma. Durante il periodo aragonese a Napoli, il piatto subì l’influenza dell’olla podrida spagnola, un ricco stufato di carne e legumi che condivideva la filosofia di combinare ingredienti diversi per creare un piatto unico e sostanzioso. Arricchitasi di profumi e tecniche culinarie importate dagli spagnoli, la minestra maritata divenne più raffinata e si consolidò come elemento distintivo della cucina campana.

Questo pasto unico era originariamente preparato per le occasioni speciali, in particolare per Natale e Pasqua, quando le famiglie si riunivano per celebrare le festività. La sua complessità e ricchezza di ingredienti riflettevano l’abbondanza e il calore delle tradizioni familiari. La minestra maritata ha trovato spazio persino nella letteratura tra i secoli XIII e XVIII (Pulci, Cervantes, Latini, Casanova), contribuendo a raccontare la cultura e le tradizioni campane. Anche in testi meno noti è stata citata come esempio di come il cibo possa riflettere il legame profondo tra terra, tradizioni e memoria collettiva.

Il cuore della ricetta risiede nella perfetta unione tra carne e verdure, che prevede una selezione di tagli specifici (maiale e parti grasse, manzo, pollo o gallina) e un assortimento di ortaggi a foglia, ognuno dei quali contribuisce a creare un’esplosione di sapori. Ogni tipo di carne viene cotto lentamente per ottenere un brodo ricco e saporito, che diventa la base del piatto. Le verdure variano a seconda della stagione e della disponibilità, ma la tradizione dell’Agro privilegia: scarola, bietola, cicoria, catalogna, broccoletti, verza, torzella (una varietà antica di cavolo tipica della Campania, dal sapore intenso e leggermente amarognolo).

Queste verdure, accuratamente lavate e lessate, vengono unite alla carne per completare la minestra. Le carni si cuociono in abbondante acqua con cipolla, sedano e carota, un po' di lardo, formando un brodo ricco e profumato. Le verdure sono aggiunte al liquido di cottura delle carne per preservare i loro sapori distinti. Il tutto viene fatto sobbollire, per consentire ai sapori di amalgamarsi assieme a qualche scorza di parmigiano. Un filo d’olio extravergine d’oliva e una spolverata di formaggio e pepe a completano il piatto. La minestra è spesso accompagnata da pane raffermo tostato o dai tipici scagliuozzi di polenta fritta.

Oggi, è ancora un piatto molto amato, soprattutto nelle famiglie che custodiscono gelosamente le antiche ricette tramandate di generazione in generazione. Molti ristoranti e trattorie dell’Agro propongono questa pietanza nei loro menù, permettendo anche ai turisti di scoprire un autentico sapore della tradizione. Pur essendo profondamente legata al territorio campano, la minestra maritata ha conquistato il palato di molti oltre i confini regionali. Alcune varianti moderne includono ingredienti innovativi o semplificano la ricetta per adattarsi ai ritmi della vita contemporanea, ma il cuore del piatto rimane invariato: l’equilibrio perfetto tra carne e verdure.

Per accompagnare la minestra, è consigliabile scegliere un vino campano che ne esalti i sapori intensi senza sovrastarli. Tra le opzioni migliori: Aglianico del Taburno, un rosso strutturato e ricco di tannini che si sposa perfettamente con la complessità del piatto, bilanciando la grassezza della carne e la mineralità delle verdure; Piedirosso, meno tannico dell’Aglianico, ma con una buona acidità e note fruttate che si combinano bene con il sapore rustico e leggermente amarognolo delle verdure; Greco di Tufo per chi preferisce un vino bianco, che con la sua freschezza e le sue note minerali può offrire un interessante contrasto ai sapori ricchi della minestra maritata.

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Annamaria Parlato 18/06/2024

Lo street food dell'Agro nocerino-sarnese per eccellenza: 'o pere e 'o musso

Lo street food è una pratica culinaria diffusa in tutto il mondo ed oggi ha assunto anche valore di aggregazione sociale e riscoperta di antichi sapori, tipici di uno specifico territorio. In Campania, questo modo di mangiare ha una radicata storia e da Napoli si è irradiato su tutto il territorio regionale, con varie prelibatezze, preparate con prodotti di grande qualità. Su antichi trattati di ricette gastronomiche italiane, si legge che, dalla fine del settecento, i poveri bollivano i piedi e le teste dei bovini, poi li mangiavano accompagnati da salse, ottenendo pietanze che piacevano anche ai ricchi.

Anticamente, i piedi e le zampe dei bovini potevano essere consumati solo in strada, il venditore era chiamato “o carnacuttaro”, ossia il venditore di carni cotte. Da qui nasce l’usanza di consumare 'o pere e 'o musso, soprattutto nell’Agro nocerino-sarnese, in particolare a San Valentino Torio, sino ai paesi costieri, per la provincia di Salerno. Oggi i clienti possono acquistarlo in tutte le stagioni dell’anno anche presso rivenditori, tagliato in listarelle sottili, spesso viene accompagnato a pezzi di trippa cotta con olive, finocchi e lupini, nella carta oleata modellata come un “cuoppo” con il palmo della mano o in apposite vaschette di plastica, il tutto condito con sale e limone e talvolta un pizzico di peperoncino. Usato a volte tra le pietanze presenti nei banchetti nuziali, è cibo che fa tendenza.

Il prodotto rientra nella categoria “ready to eat” (reg. 2073/05) e consiste ('o musso) nella parte anteriore del cranio, comprendente il labbro superiore ed inferiore, le narici, la mascella, ancora ricoperti di pelle. 'O pere invece è costituito dalla porzione di piede compresa tra la prima e la terza falange, privata dello zoccolo, sempre con la pelle. La tecnica di lavorazione la si può dividere in due fasi principali: scottatura e depilazione, cottura e raffreddamento. Queste parti anatomiche vengono lavate, messe a mollo, scottate, depilate e poi per due o tre ore vengono cotte a 98 °C.

Una volta raffreddati, all’esterno i pezzetti si presentano di colore più o meno chiaro, si riconoscono le strutture cartilaginee traslucide, le strutture muscolari rosa scuro e al tatto non sono viscide. Il profumo è delicato, sa di carne cotta ed il sapore non è mai deciso, ma leggermente fresco. Ai sensi del Decreto Legislativo 537/92, ed ora registrati ai sensi del Reg. CE 853/04, gli stabilimenti per la produzione del prodotto a base di carne bovina sono tutti autorizzati.

Le modifiche al Reg. CE 853/04, apportate dal Reg. CE 1662/2006 del 6 novembre 2006, hanno introdotto delle novità positive nel settore, tanto che si è consentito di non scuoiare le teste dei vitelli, il muso, le labbra e le zampe dei bovini, in modo da facilitare la lavorazione ed il commercio anche al di fuori dei macelli. In Campania 'o pere e 'o musso resta e resterà il protagonista di feste, sagre e bancarelle estive. Un cibo povero ma squisito, irrorato di sale dall’ambulante, che da un lungo corno bucato all’estremità, con una gestualità che ricorda atavici riti, lo fa cadere copioso e lo spruzza di alcune profumate gocce di limone della Costiera Amalfitana.

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